MICHELE CAVALLO testo pubblicato su INTERVENTI EDUCATIVI, Anno IX, n. 1, gennaio-marzo 2023
Un giorno il fascismo sarà curato con la Psicanalisi (E. Flaiano)
L’educazione più aberrante non ha mai avuto altro motivo che il bene del soggetto (J. Lacan)
- LE RADICI DELLA PEDAGOGIA NERA
Si ripropone la formula pedagogia nera per mostrarne le radici nella cultura illuminista, romantica, positivista e cogliere l’aporia che sta al cuore di ogni discorso educativo. Si indicano quei semi che nella nostra società possono portare a nuove forme di aberrazione educativa e formativa. Semi spesso invisibili, forme di autorità nascoste che possono produrre effetti devastanti in una scuola che sembra diventata serva di due padroni: del sapere tecno-scientifico e dell’economia neo-liberista. Sul piano organizzativo si è adeguata alle logiche della crescente privatizzazione e aziendalizzazione. Sul piano dei saperi la tecnica burocratica e l’iper-specializzazione dettano l’agenda educativa: semplificazione, parcellizzazione, standardizzazione, valutazione, meritocrazia. Nella società stiamo assistendo a una vera e propria mutazione antropologica che si evidenzia da una parte nelle pratiche di biopolitica e igienismo e dall’altra nella veloce mutazione della lingua (digitalizzata, semplificata, omologata, prescrittiva, concreta). L’ultima parte raccoglie alcune idee psicoanalitiche per ripensare la funzione pedagogica oggi.
Premessa
Perché riprendere la formula pedagogia nera[1] della studiosa tedesca Katharina Rutschky, che così intitola il suo studio del 1977 sulle fonti storiche dell’educazione autoritaria nella Germania del III Reich? È anacronistico oggi, per noi europei, parlare di educazione autoritaria, di metodi pedagogici violenti e costrittivi. Anzi, da più parti si lamenta il tramonto dell’autorità degli insegnanti e dei genitori. E poi oggi c’è una attenzione speciale all’infanzia, ai suoi diritti. C’è una cultura dell’educazione, c’è una sensibilità illuminata dai saperi scientifici, siamo una democrazia moderna. La nostra modernità ha gli anticorpi per debellare il ripresentarsi dei regimi totalitari in cui la PN è fiorita. Ebbene, sta proprio qui l’interesse per lo studio della Rutschky.
Provo a mettere a fuoco i motivi dell’attualità di tale formula in quattro punti:
- Tra fine ‘700 e inizio ‘900, una cultura illuminata, animata dalle migliori intenzioni verso l’infanzia, e le moderne discipline scientifiche si diedero molto da fare per creare teorie e metodi educativi. I più noti filosofi, pedagoghi, psichiatri dell’epoca diedero il loro contributo. Eppure, proprio questa cultura è stato il terreno perfetto, l’humus in cui i semi della PN hanno preso vita, hanno attecchito e messo radici.
- I regimi totalitari sono solo una congiuntura in cui quei semi hanno potuto svilupparsi e germogliare. Ma la violenza, la costrizione può prendere molte forme. Un terreno ricco di elementi nutritivi può far crescere semi di PN che fioriranno in forme diverse e con tempi di sviluppo diversi. Così come i primi pedagoghi illuministi non pensavano di porre le basi per l’educazione autoritaria che cento anni dopo sarebbe diventata sistema. Oggi ci sono saperi, idee, prassi che tra qualche decennio prenderanno la forma di una nuova #PN 2.0, del tutto diversa da quella dei regimi nazifascisti.
- Così come nei pedagoghi illuministi, la violenza, l’imposizione non era l’intenzione che guidava i loro passi e non era lo scopo ma, al limite, solo un mezzo necessario; così nei totalitarismi l’educazione totalitaria aveva come scopo il bene dell’individuo, della famiglia, del popolo, della nazione. All’orizzonte c’era l’etica del bene comune, non la volontà pedagogica di fare del male. La scienza, la burocrazia, la propaganda di idee, una nuova lingua, l’identità di massa, hanno fatto sì che i bambini e i giovani non avvertivano l’imposizione, le punizioni, l’autorità, l’irrigimentazione, come violenza ma, anzi, l’hanno abbracciata entusiasticamente. Le pene, le costrizioni, l’obbedienza, la gerarchia erano percepite come il mezzo per raggiungere lo scopo: uno stato che promette di accogliere e governare la totalità della vita: la totalità può dare la felicità. Nell’800, negli anni ’20-’30 e forse oggi, i mezzi educativi sono pensati per uno scopo “etico”.
- C’è anche un godimento del male.[2] Quei famigerati teorici illuministi della pedagogia nera non erano solo “teorici” animati da buone intenzioni etiche, erano anche soggetti che traevano dal potere di plasmare, di piegare, di addestrare e addomesticare un segreto ed oscuro godimento.[3] Così come, per Freud, nel sintomo si annida una segreta soddisfazione, anche in ogni azione e in ogni desiderio che la sostiene possiamo ritrovare una segreta soddisfazione: la violenza non è semplicemente un errore etico o un’aberrazione patologica, è un modo di godere. Alla banalità del male va aggiunto il godimento del male, sia pure banale, sia pure ordinario: il godimento del male quotidiano.
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Le radici della pedagogia nera
Partiamo dunque dalle radici della PN portate in luce dalla Rutschky che nel suo studio raccoglie i testi e i materiali di filosofi e pedagoghi che vanno dal periodo dei Lumi e giungono alle idee nazi-fasciste. Mostra come per i pedagoghi di tutto l’800, educare, istruire, formare il piccolo umano corrisponde a ottenere obbedienza, rendere docile la volontà ad ogni comando, ad ogni prescrizione e insegnamento.
Punizioni corporali. Per fare ciò bisogna piegare la vitalità, l’irruenza, l’iperattività, la volontà, il capriccio, la cattiveria, l’ostinazione, la testardaggine, la distrazione, la libertà, la tendenza al disordine, con qualunque mezzo: punizioni corporali,[4] umiliazioni, subdole seduzioni, condizionamenti tipo bastone/carota, correzioni, regole e divieti, disciplina, addestramenti fisici e mentali atti a instaurare automatismi, imitazioni e identificazioni forzate, a instillare rigide convinzioni morali e a inibire desideri ed emozioni smodate. Non si può ammettere che il bambino desideri, gioisca, e abbia emozioni indipendentemente dalla volontà dell’adulto onnipotente (651).
Intimorire e umiliare. Le percosse sono solo una delle forme di educazione dei bambini. Accanto alle punizioni corporali, esiste tutta una gamma di sofisticati provvedimenti tesi al “bene del bambino”. Oltre alle punizioni fisiche, diverse tecniche per punire vengono enumerate: «Tra queste occupa una posizione davvero preminente e degna la punizione silenziosa o il tacito rimprovero che si esprime con lo sguardo o con un gesto appropriato. […] Un unico sguardo avrà maggiore efficacia della verga e della frusta in quei bambini che sappiano cogliere le sollecitazioni più discrete. […] Un mezzo movimento della mano, uno scuotimento del capo o una scrollata di spalle possono risultare assai più efficaci di tante parole. Oltre ai rimproveri taciti possiamo servirci di rimproveri verbali. Anche qui, non sempre conviene ricorrere a grandi e solenni discorsi» (638-9). L’umiliazione e il biasimo è un fondamento del metodo educativo.
Reprimere le pulsioni. È fondamentale sottomettere la volontà e indurre l’obbedienza, affinché in ogni bambino si eriga «un bastione difensivo nei confronti degli stimoli provenienti dagli oggetti sensibili esterni e nei confronti dei corrispondenti impulsi sensibili interni» (389). Cosa sono questi pericolosi impulsi interni da cui difendersi? Si vede bene come in realtà l’educazione è concepita come difesa dalle pulsioni. Dall’alto delle mura l’educatore potrà vigilare, scorgere l’affacciarsi dell’impulso nemico e impedirgli di avvicinarsi. Tocca spiare, ispezionare, prevenire e impedire che gli si aprano le porte: ogni piacere è tabù, la masturbazione e persino toccarsi è tabù (si arriva perfino a prescrivere l’infibulazione), l’onanismo viene visto causa della decadenza della società; la vista della nudità, anche la propria, è vietata e per spiegare il corpo umano si consigliano metodi che non eccitino l’immaginazione, ad esempio servirsi di un corpo umano inanimato: «lo spettacolo di un cadavere ispira gravità e induce riflessione. […] Se tutti i fanciulli potessero essere istruiti sulla riproduzione umana da una lezione di anatomia, se lo spunto per iniziare tale discorso fosse fornito dalla vista di un cadavere, tanti problemi sarebbero risolti» (545). Il bambino deve essere aiutato a difendersi dalle proprie pulsioni, ma, implicitamente, è l’educatore che si difende dalle proprie. C’è una vera e propria fobia della sessualità.
La sessualità dei bambini (come quella delle donne) è percepita come minaccia, disordine. La convinzione pedagogica che si debba sin dal principio “condurre” il bambino in una certa direzione corrisponde evidentemente al bisogno di pacificare l’angoscia legata alla precarietà, al caos, allo smarrimento che certi periodi, più di altri, fanno emergere. Ci sono periodi, come quello degli anni ’20 in Europa, in cui la paura del caos fa sì che si invochino certezze, poteri forti, disciplina. La plasticità, flessibilità, inermità e disponibilità del bambino lo rendono l’oggetto ideale di una tale compensazione. Ecco l’urgenza di guidare, istruire, addestrare, ricondurre all’ordine, alla stabilità.
Frenare l’irruenza. Mettere ordine agli impulsi selvaggi, sfrenati, mal-educati dei bambini vuol dire preservare l’ordine sociale. Compito dell’educatore è mettere i freni alla volontà infantile, ai suoi moti irrazionali, al “ribollire soggettivo del suo universo mentale e all’eccitazione del momento” (364). In un manuale del 1857: “L’irruenza con la sua mancanza di riguardi, la rudezza, la trascuratezza, il volere irrazionale, in breve: tutto ciò che turba l’ordinamento sociale, deve essere represso nei bambini. Se non si riesce a sconfiggerlo, con le buone, se la sua forza non può essere piegata, deve essere spezzata. Grazie a una violenza che tiene i bambini entro i limiti loro assegnati e li abitua alle debite restrizioni, i loro animi selvaggi devono essere domati” (366). L’irruenza è associata al movimento, alla iperattività, all’impulsività, all’eccitazione, all’indocilità, al fuori-controllo, al disordine. Tutto ciò che l’educatore vuole evitare. Per sedare la volontà, l’irruenza, l’educatore può fare anche appello alla varietà di interessi che non lasciano spazio e tempo all’emersione e allo sviluppo di un desiderio personale duraturo ed esclusivo: “la varietà lo tiene occupato e colma il suo animo” (585).
Temprare il corpo. L’amore affettuoso può viziare i bambini che devono invece temprare il loro corpo, diventare resistenti alle intemperie, accordarsi alla natura, alla vita spartana. La sofferenza come educazione naturale. Non devono essere lasciati troppo alle cure e premure materne: il loro «amore cieco è una vera cancrena nell’educazione» (271). Nessuna mano pietosa: le punizioni sono naturali. Nessun moto spontaneo, pulsione o desiderio deve manifestarsi nel bambino, perciò il corpo deve essere concepito in maniera meccanica. Gli esercizi ginnici, ogni forma di addestramento corporeo è tesa ad aggiustare, ad automatizzare, a rendere funzionale, a perfezionare il corpo-macchina. Si vedano i dispositivi inventati da Schreber: attrezzi, cinghie, caschi, tiranti, busti, protesi… per raddrizzare la postura, correggere il movimento. Marionette nelle mani del pedagogo.
Semplificare la lingua. A scuola la lingua viene militarizzata: le ingiunzioni, le domande, le risposte, devono essere precise, brevi, semplificate, consentire una sola interpretazione; la forma delle frasi deve essere omogenea e riconoscibile immediatamente; si devono prediligere frasi concrete, operative, imperative, prescrittive. I metodi di esposizione degli argomenti da parte dell’educatore, sono attenti a non sollecitare pulsioni, desideri o interpretazioni personali. Ad esempio, con il metodo letterale l’argomento viene scomposto e poi compresso in una combinazione di lettere che si deve memorizzare, con il pretesto di risparmiare tempo si elude l’interpretazione del testo, la sua polisemia. Lo si spezzetta riducendolo a micro descrizioni, etichette mnemoniche svuotate di senso. Tutto è all’insegna della scomposizione, delle liste, dell’omogeneità. Persino «la lingua usata in privato da madre e figlio deve essere distrutta e posta su un fondamento razionale» (253).
Educazione totalitaria. Il bambino, in ogni caso, è qualcosa da formare, da correggere, da curare. L’infanzia è una sorta di malattia, di malattia mentale e l’educatore ha funzione di psichiatra, di medico. In un manuale del 1890 si parla di difetti problematici bisognosi di cura pedagogica, e se ne fa l’elenco: abiezione, avarizia, crudeltà, iperattività, ingordigia, irresponsabilità, ottusità, sessualità traviata, irascibilità, sonnambulismo, ecc. Difetti che l’educatore deve cancellare. L’educatore è allo stesso tempo un padre, un medico, un sacerdote, un giudice. Il carattere totalitario della sua funzione fa sì che l’educazione sia concepita come istituzione totale. La vita extrascolastica è nemica della scuola: l’insegnamento è solo una parte, l’educazione deve occuparsi della totalità della vita, in maniera pervasiva, incessante, è necessaria una sorta di dittatura dell’educazione. È necessario un contesto in cui sia possibile costantemente sorvegliare e inibire o punire ogni attività spontanea del bambino, tutto deve essere prescritto: come camminare, correre, sedere, salutare, come parlare, come scrivere, gesticolare e addirittura come respirare. Tutto deve essere regolato e per farlo l’educatore deve essere padrone assoluto del tempo, del corpo, della mente dei bambini. Il tempo libero, la vita familiare sono nemici dell’educazione. La vita isolata in collegio è la risposta alla necessità di controllo assoluto: la scuola impara dal mondo militare a condurre la sua battaglia per la quiete, la concentrazione, la disciplina, l’obbedienza, l’annullamento del privato (niente segreti, desideri e gusti personali).
Sorvegliare e misurare. Si sviluppano strategie e dispositivi per ottimizzare la vigilanza costante: metodi e apparecchi di misurazione, la creazione di spazi ad hoc, la disposizione frontale in aula, la forma dei banchi, l’adozione di prassi quali la confessione, l’obbligo a tenere un diario, disposizioni e ordinamenti scolastici, registri, voto alla condotta… ad esempio: i registri dell’impegno, dell’onore e dell’infamia, la lavagna del biasimo e dei meriti, la pagella quotidiana, il registro della curva delle prestazioni.
L’educatore demiurgo. «E quale gioia rappresenta per il pedagogo seguire con occhio indagatore l’umanità che passa da uno stadio all’altro o guidarla con la sua mano che dirige e mette ordine. Vede il germoglio, il bocciolo, la gemma, forse il primo accenno del frutto, vede il graduale passaggio dalla notte al crepuscolo, poi all’alba e infine alla luce del mattino. […] E se il materiale grezzo che egli lavora finisce per svilupparsi e svelare tutti i suoi incanti inizialmente celati, da lui scoperti e portati alla luce, quale anonima gioia dev’essere per la sua anima sensibile! Oh, nemmeno Fidia osservava con tanto rapimento l’opera della sua arte, quando il blocco di marmo grezzo, senza colore e forma si sviluppava gradualmente tra le sue mani creative, quando sotto il suo scalpello si delineava un arto, un tratto dopo l’altro, e infine compariva in tutta la sua grandezza e bellezza la statua dell’eroe o delle Grazie!» (308-309). Educatore come artefice, creatore, costruttore.
Tabula rasa. In ogni caso, è sottesa una concezione del bambino come tabula rasa sui cui imprimere e materia grezza da plasmare, contenitore da riempire, energia vitale da ammansire, inibire, contenere, alberello da potare e piegare nel verso giusto, animaletto selvatico da addomesticare e ammaestrare.
Troviamo, in questa rassegna nomi noti, che pure hanno per altri versi costituito punti di riferimento nella storia delle idee: Pestalozzi, Kant, Herbart, Jahn, Schreber. Su questi ultimi due vorrei soffermarmi.
- Ludwig Jahn, professore all’università di Berlino, nel 1810 fonda la Lega tedesca (Deutscher Bund), un’associazione segreta per la liberazione e l’unificazione della Germania. A tale scopo fonda anche le corporazioni studentesche, per diffondere la cultura teutonica e incoraggiare i giovani tedeschi a rafforzare il fisico. Crea il movimento ginnico e nel 1816 viene dato alle stampe L’arte ginnica tedesca, che diviene in breve una sorta di Bibbia per una nuova educazione popolare attraverso il corpo. Le prese di posizioni nazional-patriottiche, la sua capacità di organizzare le masse in un movimento nazionale, il culto dello sport, della forza e della perfezione fisica, furono ispirazione per il regime nazista.[5]
- Moritz Schreber si rese celebre redigendo dei manuali grazie ai quali pretendeva di rimediare alla decadenza della società creando un uomo nuovo: uno spirito puro in un corpo perfetto. Creò una ginnastica ortopedica in grado di realizzare l’armonia corpo-mente-spirito. L’attività fisica per temprare il corpo e la mente dei bambini, è vista come una componente importante dell’educazione, li prepara alla vita e alle sue durezze, al dolore, alla fame, alla sete, al caldo e al freddo. Questo pedagogo allevò i suoi due figli secondo tali metodi. Del primo sappiamo poco, se non che morì suicida, del secondo sappiamo molto poiché si tratta di Daniel Paul Schreber, l’autore dell’autobiografia: Memorie di un malato di nervi, sulla quale Freud ha basato la sua teoria della paranoia, ripreso da Lacan, da Canetti e più recentemente da Schatzman (La famiglia che uccide).
NOTE
[1] È stata Katharina Rutschky a dare il nome di pedagogia nera a questi metodi educativi. Formula ripresa da Alice Miller qualche anno dopo. Michael Haneke con il film Il nastro bianco (2009), ne ha dato una rappresentazione esemplare. Già in un testo del 1973 Morton Schatzman metteva al centro di La famiglia che uccide il caso Schreber per argomentare gli effetti devastanti di questi principi pedagogici.
[2] Kant lo sapeva e aveva voluto lasciare fuori dall’etica ogni sentimento, ogni desiderio, tacciandoli di “patologico”. Ma è l’Illuminismo stesso a farlo rientrare dalla finestra con Sade, facendone ironicamente la legge morale universale. Sarà compito della psicoanalisi raccogliere la sfida e farne qualcos’altro di questo benedetto godimento mortifero. Si tratta sempre e ovunque di “civilizzare” il godimento (v. Rutschky, 193) e quindi ogni educatore o genitore, ogni società dovrà in qualche modo favorire questa “civilizzazione”, ma favorirla non vuol dire goderne. Si tratta, per la psicoanalisi, di sostenere il soggetto nella ricerca del suo modo di simbolizzare, di annodare, di tracciare i percorsi del godimento. In ciò l’analista non impone e nemmeno propone la sua volontà, non esercita il potere di… e non gode di alcun potere sul soggetto.
[3] Si esprime in una coazione all’educare: «irrazionalità quale centro inesplorato dell’educazione» (Rutschky, 184).
[4] La “pedagogia nera” sostiene un modello educativo in cui la violenza e le punizioni sono legittime: afferma che il bambino è, tendenzialmente, portato ad assumere abitudini “viziose” (cattive, amorali, antisociali) laddove il genitore, o tutore, non intervenga correggendolo e reprimendo le sue naturali tendenze.
[5] La causa dell’unità nazionale aveva acceso l’entusiasmo dei giovani, al punto che nel raduno delle associazioni studentesche del 1817, diedero alle fiamme i libri stranieri che avevano corrotto l’autentica cultura del Volk.