La lingua perduta e ritrovata: Artaud con Lacan

di Michele Cavallo

La lingua di cui si occupano psicoanalisti e artisti non è quella che studia la linguistica. È una lingua imbevuta di desiderio e di godimento, fatta di impossibili a dire, di equivoci, di depositi che una storia del tutto singolare ha lasciato sul fondo. Una lingua con la quale si cerca di fare altro che comunicare e significare. Artaud mostra nel vivo della sua carne-opera la ricostruzione di questa lingua che Lacan ha teorizzato.

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Questi giorni, ho creduto veramente di morire, non so più dov’è il mio corpo. Sento la presenza minacciosa incessante del mio corpo.

Conosco uno stato fuori dallo spirito, dalla coscienza, dall’essere, dove non ci sono più né parole né lettere, ma in cui si entra per grida e per colpi.

Pubblicato in   La Psicoanalisi n. 56-57, 2015.

  1. Oltre la linguistica

La lingua di cui si occupano psicoanalisti e artisti non è quella che studia la linguistica. È una lingua imbevuta di desiderio e di godimento, fatta di impossibili a dire, di equivoci, di depositi che una storia del tutto singolare ha lasciato sul fondo. Una lingua con la quale si cerca di fare altro che comunicare e significare.

Se nell’Istanza della lettera, Lacan concepisce il significante e la lettera in continuità con la concezione linguistica, già a partire da La lettera rubata concede alla lettera un’altra funzione da quella di supporto della significazione, diventa cosa di cui si può farne tutt’altro che leggerla: rubarla, bruciarla, nasconderla, manometterla, conservarla, restituirla; non più medium del senso, ma oggetto per far circolare godimenti. Nel Sem XVIII arriva a indicare un bordo simbolico in cui il significante tocca il reale. A partire dagli anni ’70 Lacan stravolge la sua stessa teoria del linguaggio (struttura che ha come effetto il senso), proponendo la teoria di lalingua (apparato che ha come effetto il godimento).[1] L’introduzione del neologismo lalangue compare per la prima volta nel 1971[2] e verrà in piena luce l’anno dopo nel Sem XX.[3]

Secondo l’indicazione di J.-A. Miller, se a fondamento della parola, del linguaggio, del significante, della letteratura c’è il voler dire; a fondamento dell’apparola, di lalingua, della lettera, di lituraterra, c’è il voler godere. Campo non della linguistica ma della linguisteria. L’apparola, ad esempio, non è una parola indirizzata all’Altro, è parola in stretto rapporto con la pulsione: “Lacan introduce il godimento della parola, l’Altra soddisfazione, quella che prende il linguaggio come supporto e che è distinta da quel che sarebbe il godimento puro del corpo non parlante. […] Occorre attribuire un valore radicale a questa espressione e cioè che il godimento parla. La parola è animata da un voler godere”.[4] Ed è questo voler godere ad essere importante, non la parola in quanto tale. Non la parola ma il godimento del corpo parlante. Lacan radicalizzerà sempre più questa posizione, fino a dire che la linguistica, ai fini dell’analisi, non apre alcuna via.[5] Da dove ripensa, Lacan, questo nuovo campo al di là della linguistica? A partire dai fenomeni di linguaggio propri della psicosi, in cui il godimento è attaccato alla lettera. Fenomeni che sfuggono all’analisi formale della linguistica. Tale implicazione godimento-lettera non si coglie, infatti, che a partire dall’inconscio.[6] Metafora e metonimia possono essere colti a un livello formale, a prescindere dal godimento che veicolano. Difatti, Jakobson ha potuto elaborare la sua teoria linguistica a partire dallo studio delle afasie, un deficit neurologico, senza dovervi implicare il godimento del soggetto (né transfert, né inconscio). Invece, seppur esistano i disturbi del linguaggio nella schizofrenia, le cosiddette schizofasie, non è possibile mostrare formalmente in cosa questi differiscano dal linguaggio normale. Il disturbo non consiste in una funzione linguistica perturbata o assente. Non è la produzione, florida o deficitaria, di questi fenomeni a indicare la struttura psicotica, ma la loro funzione per il soggetto, il loro investimento. Non sarà, quindi, l’analisi retorico-linguistica a dirci qualcosa sulla natura di queste alterazioni. Tocca pensare un nuovo campo in grado di includere il godimento all’interno di tali fenomeni di linguaggio per poterli studiare. La linguisteria sarebbe questo nuovo campo e lalingua l’oggetto di studio, con i suoi peculiari fenomeni di linguaggio: lettera, neologismo, olofrase. Già per Freud, il sovrainvestimento delle parole (del significante o del significato) rispetto alle cose, era caratteristico della schizofrenia.[7] La psichiatria classica aveva suggerito con “feticismo verbale” questo sovrainvestimento. Il primato che l’ultimo Lacan assegna alla lettera, coglie questo spostamento in cui la parola è utilizzata soprattutto per godere. Il pensiero psicotico rende evidente l’accento dato alla lettera: una parola, il suono di una voce, un gesto, un particolare di un’immagine, un’assonanza, assumono un valore speciale, sufficiente a introdurre un’angoscia che invade il corpo e fa cambiare corso ai pensieri. Spesso il neologismo (di significante o di significato) è una risposta del soggetto per arrestare questa disseminazione, è il tentativo di calare “una specie di piombo nella rete del discorso”.[8] Per tentare di significantizzare il godimento delocalizzato, la risposta propriamente delirante consiste nella produzione di neosemantemi, intuizioni piene marcate dalla certezza, che possono portare a grandi costruzioni del pensiero (filosofico, scientifico, religioso). È la via percorsa dalla scrittura di Schreber. Per arginare la proliferazione di un godimento traumatico, per dare al linguaggio una certa articolazione, esiste anche un’altra via che non sembra orientata alla costruzione di un sistema; anzi, poco preoccupata della significazione, spesso si volge alla polverizzazione del significato e alla elezione fonematica. È una via in cui lo psicotico cerca di significantizzare il godimento in S2, cioè in una lingua costituita di rappresentazioni non rappresentative, in cui parole senza senso, ritornelli e sonorità vuote offrono l’esempio più evidente; è una via che “consiste nel cercare nella lettera un tenente-luogo dell’S1, fatto che induce a fare, nelle forme più rozze, incisioni sul corpo, mentre in forme più sviluppate porta alla creazione di glossolalie, all’elaborazione di scritture ermetiche ancorate in un godimento calligrafico”.[9] Questa seconda via è quella percorsa dalla scrittura di Antonin Artaud. In ambedue le vie c’è un privilegiare le parole a scapito delle cose, c’è un sovrainvestimento della lettera. Molti scritti di psicotici segnati da una sovversione del linguaggio (della grammatica, della sintassi, della semantica), diventano intellegibili solo quando vi reperiamo l’insistenza della lettera e del godimento che ne risulta.

  1. Scrittura letterale

Senza dubbio, nella scrittura di Artaud troviamo un esempio straordinario di creazione della lettera (neologica, olofrastica, glossolalica). Nessun folle ha scritto quanto e come lui del proprio abisso, fino in fondo, con una tale lucidità e crudeltà da lasciare smarriti i suoi lettori.[10] In particolare, la scrittura di Artaud degli ultimi anni, cioè 1945-48, sembra annunciare quella che Lacan chiamerà lalingua. Certo, molti schizofrenici ci hanno offerto versioni di destrutturazione, di sabotaggio, di reinvenzione del linguaggio. Schreber, Brisset, Wolfson, Joyce, ne sono solo alcuni dei più noti. Ma nessuna tra queste invenzioni parla letteralmente lalingua che Lacan ha pensato e che Artaud ha scritto, alla lettera, appunto; anche se Lacan ha utilizzato la scrittura di Joyce per illustrarla e non quella di Artaud. Ovviamente la scrittura dei due, se pur apparentemente simile nell’essere disabbonata dal senso, mostra due facce diverse sia nella sua costruzione che nei suoi effetti. Se in Joyce la lingua arriva alla potenza del linguaggio letterario e si fa sinthomo, in Artaud la lingua si origina dal corpo e vi rimane attaccata; la sua scrittura non solo è irriducibile ad un genere, al senso, alla comprensione, ma non è neppure una scrittura in senso letterario, non diventa opera. Se la scrittura di Joyce rimane con i piedi ben saldi nel simbolico, quella di Artaud ha un piede nel buco del reale e l’altro sul suo bordo. L’effetto è che Joyce potrà godersela la sua lingua dandola da studiare all’Altro; mentre in Artaud il godimento della sua lalingua avrà sempre un ché di autistico. Quella di Artaud è un’opera che non opera, almeno non nel senso joyciano. Nella scrittura di Artaud la materia poetica si confronta e si confonde con quella clinica e ci offre l’opportunità non di separare le due ma di apprendere l’una dall’altra. La sua scrittura è il suo corpo, non è espressione, arte, né propriamente sublimazione. Forse dovremmo parlare, come ha suggerito J. -A. Miller, di “corporizzazione”.[11] Oltre alla sublimazione, ci sarebbe una seconda struttura che dà conto dei rapporti tra corpo e linguaggio, dove non è il corpo (pulsionale, libidico) che si trasforma in significante, in linguaggio articolato (verbale, musicale, ecc.) ma è il significante ad entrare nel corpo, e Artaud ci porta a questo punto. Nella sua ossessione per la scrittura nel corpo si intuisce la distanza che lo separa da Joyce. Artaud è soggiogato dal corpo, se ne occupa continuamente, ne è catturato, Joyce ne prova disgusto, lo lascia cadere; ne discende un diverso statuto del reale e del suo trattamento. È impossibile leggere la scrittura di Artaud senza sentire il suo tentativo di incidere il corpo con lo stilo, con la punta della lettera, continuo lavorìo di cesellatura e di scarificazione del godimento. Mai bisturi ha inciso e affondato nella viva carne, in maniera così precisa e cruenta, offrendoci la visione di un interno a cielo aperto, senza velature o ritocchi. Gli scritti di Artaud sono una deposizione senza eguali, da cui scrutare il trauma che solo alcuni hanno avuto il coraggio e la sventura di toccare e scrivere. La sua scrittura non è tanto un modo per riportare, raccontare, comporre, suturare, dare senso e coerenza a un sistema di pensiero. Non è una “metafora delirante”. Essa è il bisturi stesso, bisturi che incide, supplenza e supplizio ad un tempo. Potremmo dire che la sua scrittura corrode i sembianti fino all’osso del reale, mostrandoci l’ombelico del segno, parafrasando Freud. Il punto cieco in cui reale e simbolico si toccano, condividono un litorale, la lettera appunto. L’arte deve essere per lui un atto in grado di toccare la sfuggente giuntura che unisce lo spirito al corpo. Dapprima, cercherà questa giuntura nei saperi religiosi, artistici, magici. In ogni caso in un sapere in grado di rivelargli «una sorta di Fisica prima, dalla quale lo Spirito non si è mai disgiunto».[12] Ma ogni volta giungerà a toccare un nucleo recalcitrante ed ex lege, “una porzione di disessere sedimentata nel cuore delle cose”:[13] un soggiogamento fisico, una sensazione d’angoscia e d’irremissibile disperazione, un cataclisma nel corpo espropriato.[14] Nel ’37, poco prima di essere internato, scrive:

Ho lottato per cercare di esistere, per cercare di acconsentire alle forme (a tutte le forme) la cui delirante illusione d’esser al mondo ha rivestito la realtà. Non voglio più essere un illuso. Morto al mondo; a quel che per tutti gli altri è il mondo.[15]

Tutti i tentativi che fin ora ha messo in atto per “acconsentire alle forme” sembrano falliti. Si risolve a lasciare ogni illusione, a sciogliere ogni legame e credenza nell’Altro. Ma dopo cinque anni in cui era “morto al mondo”, dal manicomio di Rodez, tenterà ancora non di acconsentire ma, nel rifiuto di ogni sapere, di inventare una nuova lingua. Si tratterà di svelare e rigettare l’impostura della società col suo corredo di miti, istituzioni, linguaggi che mascherano la realtà ed espropriano il corpo del suo godimento.[16] Non rimane che “spezzare il linguaggio per raggiungere la vita”,[17] sottrarsi a ogni discorso stabilito, a ogni mediazione, creare una propria lingua in presa diretta con il godimento. Là dove sentirà che il teatro ha fallito cercherà di usare la lingua, le parole, i segni sulla carta, non per fare poesie ma per rifare il corpo, al di là di ogni forma artistica, come già aveva scritto:

La cosa veramente diabolica e autenticamente maledetta della nostra epoca, è perder tempo con le forme artistiche, anziché sentirsi come condannati al rogo che facciano segni attraverso le fiamme.[18]

Il tempo perso a cercare forme a cui acconsentire, si era esaurito, ora era tempo di far segno con le fiamme della propria consunzione-rigenerazione.

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  1. Il vero lavoro è nelle nubi?                   

È la ricerca di un mondo perduto

e che nessuna lingua umana raggiunge

la cui immagine sulla carta non è anch’essa più di un

calco, una specie di copia

                      ridotta

Poiché il vero lavoro è nelle nubi.

Parole, no,

aride placche di un respiro… [19]

Cerca, Artaud, un linguaggio che non lasci spazio all’impostura. Esiste una lingua che non sia un calco, una falsa copia del reale? Per dirlo con le parole del titolo del seminario di Lacan del ’71: esiste un discorso che non sia del sembiante? L’apologo che Lacan costruisce in questo seminario,[20] può essere, nell’aprés coup, una illustrazione di come si formi e cosa sia una lingua di tal genere. L’apologo delle nubi e della pioggia alluvionale del significante, può illustrare la genesi di lalingua, nozione che sembra una risposta a quella domanda. Immaginiamo un paesaggio visto dall’alto di un aereo. I significanti sono nel cielo sotto forma di nubi: esiste immagine più suggestiva per rappresentare i sembianti!? Dalla rottura di queste forme, si formano gocce d’acqua e dalle nubi precipita la pioggia, gocce come sciame (essaim), serie di S1 isolati che colpiscono e traumatizzano il terreno. L’Altro fa piovere i suoi significanti sulla terra, sul corpo del bambino che non è ancora partecipe delle forme e dei legami che tengono insieme le particelle acquee nelle nubi. Per lui tali significanti, che gli piovono addosso come gocce isolate, risultano enigmatici. L’Altro gli parla, lo colpisce con i suoi S1 dello sciame, con colpi che incidono e lo lasciano nella perplessità. Ma, a ben vedere, non tutte le gocce hanno lo stesso effetto, non tutte incidono. Le gocce-parole non sono le stesse per tutti e solo alcune scavano. Solo le parole, i gesti, i significanti investiti di un particolare godimento da parte dell’Altro scaveranno solchi, marchi. Come ha sottolineato J.-A. Miller: “Il trauma dell’inconscio è che si è parlato intorno a voi, che questi significanti sono stati investiti e questo vi ha traumatizzato. Quando si cerca, è questo che si trova in definitiva come nucleo. È precisamente il trauma del significante, del significante enigma, del significante godimento”.[21] Il trauma dipende dal fatto che i significanti che piovono addosso sono investiti dall’Altro ma senza che il soggetto ne conosca il senso, le regole. Questa iscrizione che la pioggia lascia sul corpo, viene da un sapere “di cui il soggetto […] non sa né il senso né il testo né in che lingua è scritto, e nemmeno che è stato tatuato sulla sua pelle mentre dormiva”.[22] È un incontro contingente, di puro caso, “da questo incontro nascono dei marchi sul corpo”,[23] dei marchi di godimento. Marchi traumatici poiché subìti, non frutto di una dialettica. Restano tracce di questo incontro traumatico nel sintomo, nell’evento di corpo. Il sintomo, infatti, testimonia “qualcosa che è accaduto al corpo a causa de lalingua”.[24] Ne deriva che il modo di godere del soggetto è legato a questo primo evento traumatico. “Questo soggetto discende dunque, essenzialmente, nella sua sensibilità, dall’Altro, da ciò che gli viene dall’Altro”.[25] Questi significanti investiti dall’Altro incidono sul terreno-corpo marchi che formano vacuoli, solchi in cui la pioggia alluvionale si raccoglie e scorrendo erode, lascia sedimenti, genera corsi d’acqua, disegna percorsi, tracciati che dall’alto appaiono come una scrittura. Questa litura-terra imprevedibile e assolutamente singolare disegna una particolare topografia: “la scrittura è quell’erosione dilavante” (J. Lacan, Sem XVIII, p. 115).  La lettera è il tratto in cui appare dall’alto il riflesso dell’acqua alloggiata nei marchi, è il luccichìo che ci fa intravedere una scrittura di segni ignoti. Sono queste lettere, questi percorsi che l’acqua-godimento disegna, a costituire litura-terra, cioè lo stile di godimento di ciascuno.[26] Una singolare lingua fatta di litura, di ruscellamenti, detriti, spalmature, macchie, cancellature, sporcature, incisioni. Il significante è ciò che fa trauma ma è anche ciò che fa il corpo godente del parlessere. Scrive la lingua del godimento. Ma non la scrive a partire dalle nubi, è dall’incontro contingente con un corpo che si producono i ruscellamenti. Quei percorsi che per ciascuno diventeranno i circuiti della pulsione. Nel loro farsi, questi percorsi d’acqua, seguono le particolari caratteristiche del terreno. Il soggetto, in quanto terreno, ha diverse conformazioni, diverse consistenze. Punti in cui si lascia penetrare, altri impermeabili dove le gocce S1 scivolano via. Qui il soggetto non è puramente passivo, ha una “mansione”, è nel momento in cui dirà sì o no all’Altro. Ed è qui che si situa l’acconsentire alle forme, di cui parla Artaud; l’istante dell’insondabile scelta dell’essere.[27] A partire da questa Bejahung primordiale si gioca lo stile d’entrata nell’Altro, l’elucubrazione del linguaggio e il saper-fare inconscio di ciascuno. A partire da qui nasce il soggetto come risposta al trauma di lalingua, nasce il soggetto come modo di concatenare, di produrre S2 e di goderne. “È precisamente il trauma del significante, del significante enigma, del significante godimento che obbliga a un’invenzione soggettiva. È un’invenzione del senso, che è sempre più o meno un delirio. Ci sono i deliri dei discorsi stabiliti e poi ci sono i deliri veramente inventati. Ma un delirio è un’invenzione del senso”.[28] A partire da quei marchi traumatici potrà articolarsi una catena significante, una invenzione del senso. Ma come si passa da lalingua traumatica al linguaggio? Se il luogo dell’Altro si costituisce a partire dallo scavo di una traccia e non semplicemente dalla pioggia di essaim, come avviene il passaggio dalla lettera-godimento dei marchi alla lettera-significante che si incatena a un S2? Lacan lo ha suggerito: attraverso l’instaurazione di un S1 padrone. La lettera-marchio però non è ancora il significante padrone. Non tutti gli S1 dello sciame e non tutti i marchi inscritti sul terreno sono il “significante originariamente rimosso” (Sem XI, p. 246). Solo alcuni di questi elementi faranno da cardine, da significante padrone in grado di ordinare. Ma quali? I significanti dell’essaim che sono stati investiti di più dall’Altro e che, piovuti addosso, hanno scavato più profondamente il terreno? La goccia più pesante o quella più monotona che ha prodotto un marchio più netto e profondo? Se così fosse il soggetto sarebbe determinato in maniera assoluta dall’Altro. Invece, già a partire dai marchi, il soggetto è attivo, articola una “risposta” che dal trauma degli Uno, dell’essaim, lo porterà alla estrazione di un significante speciale. Da un primo momento in cui il trauma è essere presi nell’erranza dello sciame, della serie che ci piove addosso e ci assoggetta, ci intima e ci invade, momento che ci fa sorgere come dei debili impotenti, parassitati dagli Uno; si passa a un secondo momento in cui i marchi che la pioggia percuotente ha lasciato sul nostro corpo-terra, diventano vere e proprie lettere in cui il godimento si raccoglie in una forma singolare, lettere con cui si scrive la propria lalingua. Questo momento costitutivo di lalingua è anche il luogo in cui sorge il soggetto come risposta, difesa dall’irruzione del reale alluvionale.[29] Sono due tempi ben esemplificati nell’esempio che Eric Laurent[30] fa a proposito del primo ricordo di Michel Leiris. Mentre da bambino giocava, un soldatino sta per cadere, lui lo afferra al volo ed esclama: Reusement! S1, pura interiezione; la risposta della madre (No, non si dice reusement, si dice heuresement) è l’S2 che tornando sul soggetto marca reusement come S1, significante padrone nel quale si fissa una identificazione e un godimento.[31] Leiris farà di questa identificazione traumatica il suo sinthomo: la ricerca di una scrittura letteraria pura che non permettesse a nessuno di correggerlo. Se la madre avesse risposto esultando e ridendo: “Ah, bravo che bella parola!!!!”, anche in questo caso poteva esserci una fissazione di reusement come significante padrone, ma con altri effetti di concatenamento e altro stile di godimento (meno melanconico). In analisi, pur essendo quella traccia inscritta per sempre, bisogna estrarla, far nominare al soggetto la sua identificazione, fargli sputare il suo S1, introducendo “un certo vuoto tra le identificazioni, il significante padrone e la catena inconscia”.[32] Tagliare l’S2 dall’S1 quando si vuol far emergere il reale del godimento fissato, è l’operazione fondamentale. Far emergere questo Uno cancellato (dalla rimozione originaria) è importante poiché è da questo che ha preso avvio la concatenazione, è l’Uno preliminare all’articolazione S1-S2. È il significante a cui si è detto sì, a cui si è acconsentito (Bejahung). L’Altro si installa a partire dalla singolarità dell’Uno, quindi. Un Uno investito dall’Altro al quale il soggetto ha risposto. A questo punto la lettera stessa cambia statuto, non più semplice marchio, traccia ma litorale, punto di articolazione tra sapere e godimento, tra S1 e oggetto a. Diviene una lettera a statuto speciale, come il reusement di Leiris.

“A questo proposito Lacan ha designato l’articolazione di S1 e di a come coppia ordinata, ha utilizzato il concetto matematico di coppia ordinata che, nella teoria degli insiemi è utile per mostrare e per produrre un’articolazione tra due cose che non hanno niente in comune. Questa nozione di coppia ordinata è utile per far funzionare insieme il significante e la traccia o la condensazione di godimento, la parte pulsionale e la parte significante come sono articolati nel sintomo. Il soggetto si articola quindi in due tempi: si parte dal significante e poi si passa alla lettera”.[33]

A partire da questo uso della lettera il soggetto potrà implicarsi nell’Altro, passare dall’Uno senza Altro, all’S1 nell’Altro. Quindi per non rimanere sotto la lalingua traumatica è necessario soggettivare gli scavi del godimento, assumere quei “depositi che si accumulano per i malintesi e le invenzioni linguistiche di ciascuno”,[34] e fare di quella particolare topografia che i solchi hanno disegnato, la propria singolare lalingua. Tale assunzione segnerà la scansione da lalingua costituente il soggetto a lalingua del soggetto costituito, per il quale il vero lavoro, ora, è nella terra, non più nelle nubi da dove piovono addosso essaim.

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  1. Riscrivere lalingua

Nell’apologo delle nubi abbiamo a che fare con lalingua traumatica costituente che, assunta, darà le formazioni dell’inconscio, lo stile di godimento, il linguaggio del soggetto. Il linguaggio e lalingua non sono, però, la stessa cosa. Lacan, nel Sem XX, sottolinea come “Il linguaggio è quel che si cerca di sapere circa la funzione di lalingua. […] Indubbiamente il linguaggio è costituito da lalingua. È un’elucubrazione di sapere su lalingua. Ma l’inconscio è un sapere, un saper-fare con lalingua” (Sem XX, 132-133). Oltre all’elucubrazione di sapere (linguaggio), è necessario un saper-fare (inconscio). “E quel che si sa fare con lalingua supera di gran lunga ciò di cui si può render conto a titolo di linguaggio”.[35] L’inconscio abita lalingua. Il soggetto si costituisce attraverso un saper-fare inconscio su lalingua, in cui i significanti padrone, i suoi S1 fondamentali catalizzano e mettono in ordine gli elementi della catena significante. Quindi il soggetto è la particolare soluzione di difesa da lalingua traumatica. Ogni umano deve far fronte al trauma di lalingua e deve farsi parlessere agganciando del senso al reale. Questo senso annoda e supplisce il parassitaggio incessante di lalingua traumatica. Possiamo quindi distinguere lalingua traumatica e lalingua annodata (tramite linguaggio e inconscio). Nella psicosi è questo annodamento ad essere problematico. E se non ci si estrae da lalingua traumatica, se sui marchi-lettere non si annoda la sequenza S1-S2, allora si rimane in balia degli S1 dell’essaim e del godimento alluvionale. Lo psicotico è come tutti marchiato dal linguaggio, dalla pioggia di significanti asemantici, ma è come se mancasse il momento di localizzazione e assunzione dell’Uno, da cui parte l’elucubrazione e il saper-fare inconscio su lalingua. Prevale la funzione di sciame, disseminazione, in cui il corpo comincia a parlare una lingua propria, un “linguaggio d’organo”.[36] Artaud ci testimonia come gli organi si fanno sentire, parlano, camminano, mangiano, all’interno del corpo come esseri del tutto autonomi, pezzi scatenati come S1 dell’essaim, fenomeni fuori-corpo, parassiti:

Dimenticano che si tratta del mio corpo e che essi ne escono e che mangiano tutti lì dentro.[37]

Orde di miasmi che mi sono piombati addosso e mi hanno strappato piccoli pezzi di corpo.[38]

Questi giorni, ho creduto veramente di morire, […] non so più dov’è il mio corpo […], la mia mascella pende come fosse attaccata e quando mi tocco non ho la sensazione di toccare me stesso ma di incontrare un ostacolo cosciente, sento di essere uno scheletro senza pelle né carne, o piuttosto un morto vivente.[39]

Io sono circondato dagli abissi, assediato dai dolori.[40]

Io sono un uomo perduto. Mi tengo con tutte le mie forze. Ma c’è qualcosa che sta per esplodere in me.[41]

Sento la presenza minacciosa incessante del mio corpo.[42]

Come ha notato Miller, “il corpo è paragonabile a un ammasso di pezzi staccati. Non ce ne rendiamo conto tanto che restiamo catturati dalla sua forma”.[43] Lo schizofrenico se ne rende conto. Ma come sopportare una condizione in cui il corpo è totalmente invaso, affettato dal godimento? Là dove il soggetto psicotico non può “acconsentire alle forme date” e non può assumere i depositi e le incisioni dell’Altro, dovrà, artista o no, cercare di inventare una sua particolare topografia di lalingua per dare una certa consistenza al corpo. E per fare ciò è necessario, là dove sono falliti gli altri tentativi, un lavoro con lalingua non solo fuori-senso, ma fuori-linguaggio e fuori-inconscio. Disabbonato dall’inconscio, non rimane che il lavoro sulla lettera. L’inconscio cola nella stessa prassi, al punto che “non c’è niente di rimosso da difendere, poiché il rimosso stesso trova alloggio in questo riferimento alla lettera” (J. Lacan, Sem XVIII, p. 116). Infatti, se a volte basta una elucubrazione di sapere (il delirio di Schreber) e altre volte basta un saper-fare inconscio (il sintomo e le formazioni dell’inconscio nel nevrotico); in alcuni casi è necessario una discesa a picco nel reale traumatico per trattarlo, rimestarlo, riscriverlo ed emergerne con una lalingua del tutto singolare. Tale discesa ha un’andatura che ricorda Antigone e il suo “desiderio puro”! Attraverso un lavoro diretto sulla lettera, ciò che si era impresso come marchio, ricevuto dall’Altro, sofferto e forcluso, ora può essere estratto, riscritto e se ne può godere. Dalla re-invenzione della propria lalingua sarà possibile inventare una forma di legame possibile con l’Altro. Così, anche il soggetto schizofrenico potrà strappare lalingua alla sua dimensione autistica e riversarla nel linguaggio. Non sarà più lalingua subita, ricevuta passivamente, ma lalingua trattata, reinventata attivamente. L’invenzione di lalingua diviene strumento, risposta del soggetto a lalingua traumatica. Abbiamo, quindi, tre posizioni soggettive rispetto a lalingua: 1) in quanto corpo traumatizzato su cui si è inscritta; 2) in quanto soggetto che risponde attraverso l’elucubrazione e il saper-fare inconscio (a questo livello lalingua rimane velata dalla rimozione originaria); 3) in quanto soggetto di una invenzione, che accede al reale e tratta direttamente la lalingua traumatica. “Perché non posso essere nel reale?”, si chiede Artaud nel ’45.[44] L’invenzione di una propria lingua gli consentirebbe di avere un accesso al reale del godimento senza rimanere impigliato nella rete dell’Altro, dei sembianti, dell’impostura paterna. Si tratta di accedere a quel momento costituente di lalingua traumatica. Prima che il soggetto acconsenta e si orienti all’Altro. Prima che il linguaggio venga a “organizzare”, a dare forma al corpo, a costituirlo in una immagine unitaria, a dare una struttura al sentire propriamente umano, agli affetti.[45] Prima che il corpo si allinei “in una sequenza di significanti”.[46] Là dove abbiamo solo essaim, marchi, lettere non incatenate. Inventare vuol dire, qui, rifare a ritroso la strada che ha condotto alla creazione del linguaggio, risalire a quelle lettere di godimento inscritte nel corpo come marchi. Non è elucubrazione sulla lalingua (per creare effetti di linguaggio, letteratura), ma trattamento della lalingua, retroversione topologica che fa toccare direttamente i marchi-lettere, là dove il soggetto ancora non c’è, là dove lalingua è costituente. Un vero atto di genesi, sul piano del reale. Capace, nell’accezione artaudiana, di resuscitare un resto, un lembo del godimento ucciso, perduto; atto capace di ri-scrivere e rigenerare lalingua singolare e con essa il soggetto stesso; capace di partorire il proprio corpo da quegli Uno, da quelle lettere di godimento,

…crogiuolo di fuoco e di carne vera in cui anatomicamente, per calpestìo di ossa, membra e sillabe, si rifanno i corpi, e si presenta fisicamente e al naturale l’atto mitico di fare un corpo.[47] 

Ora Artaud può davvero dire: “Sto inventando un’altra lingua”.[48] È un’invenzione basata sulla glossolalia: una lingua caratterizzata da neologismi, dalla ripetizione di sillabe, dall’uso di assonanze fonetiche, semantiche e intertestuali. Lallazioni, balbettii cinguettii, ecolalie, olofrasi, ritornelli, cantilene, interiezioni, onomatopee, omofonie, sono gli elementi costitutivi di questa lingua, da intendere non come figure retoriche e linguistiche ma come elementi sovrainvestiti, lettere a cui è attaccato un particolare godimento. C’è nella glossolalia un uso non comunicativo e asemantico del linguaggio. Per liberare il nucleo di godimento racchiuso nella lettera, il linguaggio deve essere sovvertito, l’S2 tagliato dall’S1. In questa sovversione la lettera non è pura trascrizione del significante, ma è capace di ricomporre “le qualità sensibili, cioè afferenti al corpo, della cosa cancellata sotto la parola”.[49] La lettera catalizza e libera, cioè, quel godimento che il linguaggio ha velato e recluso. Prende corpo, in Artaud, una lingua inseparabile dalla voce e dal gesto, una lingua che serve a fondare l’enunciazione, ad ancorare l’atto enunciativo al corpo: godimento e parola si ritrovano, così, nello stesso atto. Diverse procedure si rivelano estremamente interessanti in quanto tentativi di far precipitare la parola nel corpo:

uno dei miei mezzi è scandire frasi, cantilenandole […] un altro è fendere colpi nell’aria col soffio e con la mano, come si vibra un’ascia o un martello per far uscire gli animi sul mio corpo e nell’aria.[50]

Nella pratica artaudiana i processi di “rifare il corpo” e di “rifare la lingua” sono una cosa sola. Torturare lalingua è il modo per far colare, appunto, il significante nel corpo.

Conosco uno stato fuori dallo spirito, dalla coscienza, dall’essere,

e dove non ci sono più né parole né lettere,

ma in cui si entra per grida e per colpi.

E non sono più suoni o sensi a venir fuori,

niente parole,

ma corpi.[51]

Artaud attinge alla materialità della lettera anche sul piano grafico: scrittura, ortografia, calligrafia, segnature, ideografia, disegni. Il corpo detta ciò che la lettera fissa sulla pagina, in una sorta di “godimento calligrafico”.[52] Sui fogli dei suoi quaderni tratteggia figure abbozzate, incide parole con rabbia, spezza matite, perfora i fogli, li taglia, li imbratta, li brucia.[53] Possiamo leggere questa scrittura grafica come glossografia, dello stesso ordine della glossolalia. Non sono dei veri disegni, sono note, parole, insulti, sortilegi, sputi corrosivi, chiodi ficcati nella carne per far uscire di senno il buon senso. Artaud mostra da subito lo statuto translinguistico della lettera assimilandola al tratto (fonico, grafico, gestuale).

Sono tutti degli abbozzi. In cui cerco di manifestarvi delle verità lineari che valgano tanto per le parole, le frasi scritte, che per il grafismo e la prospettiva dei tratti.[54]

Si tratta della riscrittura di un corpo che acconsente al suo destino di lettera. Alla fine è riuscito, Artaud, a farsi un corpo con un “discorso-senza-organi”, ma non senza l’organo principale: lalingua.

 

NOTE                                                 

[1] Cfr. J.-A. Miller, “Il monologo de l’apparola”, La Psicoanalisi n. 20, p. 20.

[2] Nel Seminario XIX. …ou pire, e nel Seminario XIX bis. Le savoir du psychanalyste.

[3] Ma alla sua formulazione Lacan arriva gradualmente, già ne vediamo le anticipazioni in L’istanza della lettera con la valorizzazione della lettera come ciò che presentifica il distacco del significante dal significato; nel Seminario XI con l’indicazione di un significante asemantico; nel Seminario XVII con il significante strumento di godimento; nel Seminario XVIII con la elaborazione delle nozioni di lettera e di scrittura.

[4] J.-A. Miller, “Il monologo de l’apparola”, op. cit., p. 33.

[5] J. Lacan, “Lo stordito”, Altri scritti, Einaudi, Torino, 2013, p. 487.

[6] Da una posizione soggettiva deducibile dal rapporto con l’Altro, in una situazione particolare (in cui è operativo il transfert, a partire dal quale è possibile estrarre la causa e il godimento implicati nella lingua di ciascuno).

[7] S. Freud, Opere, vol. VIII, Bollati Boringhieri, Torino, 1989, p. 85.

[8] J. Lacan, Seminario III. Le psicosi, Einaudi, Torino, 2010, p. 39.

[9] J. C. Maleval, La forclusion du nom-du-père, Seuil, Paris, 2000, pp. 260-61.

[10] Qui il riferimento all’edizione a cura di É. Grossman, Gallimard, 2004 sarà Œuvres, mentre a quella a cura di P. Thévenin del 1956-1994 sarà OC e numero romano che ne indica il volume.

[11] J.-A. Miller, “Biologia lacaniana ed eventi di corpo”, La Psicoanalisi n. 28, p. 97.

[12] A. Artaud, Il teatro e il suo doppio, Einaudi, Torino, 2000, p. 176.

[13] U. Artioli, Il teatro di regia, Carocci, Roma, 2004, p. 169.

[14] A. Artaud, Al paese dei Tarahumara, Adelphi, Milano, 2009, pp. 74-75.

[15] A. Artaud, Al paese dei Tarahumara, op. cit., pp. 101-2.

[16] Il corpo in questa ultima fase assume una doppia valenza: da una parte è il luogo invaso dall’Altro, mortificato, lacerato; dall’altra, è il luogo di una utopia: quella di un corpo senza organi, Uno, indifferenziato, asessuato, corpo di puro godimento.

[17] Il teatro e il suo doppio, op. cit., p. 132. È la via percorsa nel cosiddetto “secondo teatro della crudeltà”, cfr. Marco De Marinis, La danza alla rovescia di Artaud. Il Secondo Teatro della Crudeltà (1945-1948), Roma, Bulzoni, 2006.

[18] Ivi, p. 133.

[19] Œuvres, p. 1514.

[20] Lituraterra, cfr. Sem XVIII, pp. 103-118; e Altri scritti, pp. 9-19.

[21] “L’invenzione psicotica”, La Psicoanalisi n. 36, p. 24.

[22] Scritti, pp. 805-6. È da notare che lalingua scritta a partire da questi S1 asemantici dello sciame, è “lingua di fondo” in quanto sconosciuta al soggetto stesso e non in quanto Grundsprache, linguaggio universale “fondamentale” nel senso di Schreber.

[23] J.-A. Miller, Pezzi staccati, Astrolabio, Roma, 2006, p. 65.

[24] Ibidem.

[25] J.-A. Miller, “L’Essere e l’Uno”, La Psicoanalisi n. 51, p. 255.

[26] Questa traccia o tratto appare come “ruscellamento delle acque” che lascia in ombra ciò che non scintilla (Sem XVIII, p. 111). Qui sta la funzione della lettera in quanto litura: spalmatura, cancellatura. L’acqua che si spalma e alloggia in quei tracciati, riflette e li fa apparire, cancellando e lasciando in ombra il terreno che non è lettera. Come il tratto bianco del gesso sulla lavagna, che scrivendosi copre e fa sparire il nero che fa da supporto. È anche litter, residuo, scarto. Deposito dello scavo e detriti che esso lascia.

[27] J. Lacan, Scritti, p. 171.

[28] J.-A. Miller, “L’invenzione psicotica”op. cit., p. 24.

[29] La risposta all’intimazione traumatica dell’Altro, nel bambino la possiamo cogliere nelle espressioni fuori-senso (esclamazioni, grida, sorrisi, pianti, gesti…). Tale risposta è un primo livello in cui possiamo reperire una insondabile scelta dell’essere: il terreno reagisce, e in un modo particolare, alle gocce traumatiche. Questa reazione può essere ratificata dall’Altro con un S2 investito di godimento. Qualcuno di questi S2 speciali, alcuni tra i tanti che tornano dall’Altro, verranno “scelti”, estratti, dal soggetto, contribuendo così a istituire un significante padrone, ordinatore. Qui c’è un secondo livello dell’insondabile scelta, in cui il soggetto accoglie e acconsente ai significanti dell’Altro, investendoli di godimento, a sua volta. È il momento dell’alienazione in cui il soggetto si inscrive nell’Altro e si producono effetti di senso attraverso una prima identificazione, alla quale potrà seguire la separazione dove si inscriverà il posto dell’oggetto perduto (cfr. La Psicoanalisi n. 26, p. 236).

[30] E. Laurent, “La lettera e il reale per la psicoanalisi”, La Psicoanalisi n. 26, p. 247.

[31] L’interiezione, l’esclamazione, è una sorta di solidificazione in cui il locutore fa tutt’uno con il significante, godimento e parola si ritrovano sullo stesso lato e non c’è articolazione di S1-S2 . In questo caso è la risposta della madre a dividere quel significante Uno, quell’olofrase. La correzione materna, S2, torna sul soggetto, localizzando e fissando un godimento in quel reusement che d’ora in poi avrà la funzione di “padrone”, ordinatore, installando il luogo dell’Altro (correttore).

[32] E. Laurent, “La lettera e il reale per la psicoanalisi”, op. cit., p. 248.

[33] Ivi, p. 246.

[34] J.-A. Miller, “Il monologo de l’apparola”, op. cit., p. 27.

[35] Sem XX, p. 133. Si affaccia qui l’idea di “inconscio reale”.

[36] S. Freud, Opere, vol. VIII, op. cit., p. 82.

[37] Œuvres, p. 1481.

[38] Ivi, p. 1478.

[39] Œuvres, p. 55

[40] Ivi, p. 57

[41] Ivi, p. 59.

[42] Œuvres, p.1651.

[43] Pezzi staccati, op. cit., p. 13

[44] OC, XV, p. 179.

[45] J. Lacan, Radofonia. Televisione, Einaudi, Torino, 1982, p. 9.

[46] Ivi, p. 10.

[47] Œuvres, p. 1544.

[48] OC, XI, 109.

[49] Bruno P., Antonin Artaud. Realtà e poesia, et al. Edizioni, Varese, 2011, p. 130.

[50] OC, XI, p. 119.

[51] Œuvres, p. 1351.

[52] J.C. Maleval, La forclusion du nom-du-père, op. cit., p. 261.

[53] Come ha notato P. Bruno: “Partendo dalla consunzione della lingua materna, e attraverso la glossolalia, si ricongiunge con la lettera, e poi, nel passo successivo, attacca il grafismo stesso della lettera, scomponendola nei suoi elementi grafici” (op. cit., p. 216).

[54] Œuvres, p. 1514. Come ha fatto notare lo psicoanalista Hervé Castanet, in Artaud il disegno è “lettera, non scritta, ma disegnata, tracciata”, Le savoir de l’artiste et la psychanalyse, Nantes, 2009, p. 36.

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