Eversiva epistemologia freudiana
Michele Cavallo
pubblicato su Appunti – Rivista della SLP, n. 127 anno XVII, dicembre, 2013.
Attraverso un breve percorso nei testi freudiani, vorrei mettere in prospettiva le ragioni di un ingiustificato discredito scientifico che ancora oggi si cerca di addossare alla psicoanalisi. Laddove in realtà ad alimentare tali disinformati tentativi è da vedere un più originario rifiuto, una difficoltà ad accettare la sua portata eversiva di disvelamento delle illusioni, di incrinatura di ogni pretesa di padronanza. Riportare in auge tale forza eversiva insita nell’epistemologia freudiana è stata la costante dell’insegnamento di Lacan.
- Scientia naturalis
«Non tutti si azzardano a esprimere un giudizio su temi di fisica, e tutti invece – il filosofo come l’uomo della strada – hanno un loro parere da esternare su problemi di psicologia».[1]
Così, in ambito accademico, chiunque può soffiare nelle trombe del giudizio per decretare il fallimento della psicoanalisi: biologi, linguisti, storici, fisici, filosofi,… l’ultimo in ordine di tempo è Michel Onfray, trombettista non paragonabile ai suoi più illustri predecessori: sir Karl Popper e Adolf Grünbaum. Non mi pare che sia mai accaduto il contrario. Semmai c’è stato sempre da parte degli psicoanalisti una certa soggezione a confrontarsi con le “roccaforti della scienza”, soggezione che li porta a bussare discretamente a quel portone per chiedere ospitalità, almeno per le notti di tempesta.
Lo sforzo di Freud per fondare questa inedita disciplina su basi rigorose e scientifiche è stato costante. «Malgrado la sua odierna incompiutezza e le difficoltà ad essa legate, la scienza rimane per noi indispensabile e nulla può sostituirla».[2] A partire dal Progetto fino agli ultimi scritti, Freud sogna una fondazione della psicoanalisi come scienza naturale equiparabile alla chimica e alla fisica.
«Ho sempre considerato sommamente ingiusto il rifiuto di trattare la psicoanalisi come una qualsiasi altra scienza naturale. Questo rifiuto si è espresso in durissime critiche. Si è fatto rimprovero alla psicoanalisi delle sue molte incompiutezze e imperfezioni, senza considerare che una scienza basata sull’osservazione non può far altro che elaborare gradualmente i suoi risultati e risolvere a uno a uno i suoi problemi».[3]
Come mai non considerava la più comoda collocazione della psicoanalisi tra le scienze dello spirito?
In realtà, inseguendo il rigore della scienza naturale, Freud metterà a punto una scienza sui generis che non rinuncia alla ricerca della causa, che non si accontenta della comprensione ermeneutica o dei metodi della psicologia generale. Freud vuole riservare alla psicoanalisi un posto d’eccezione in grado di ampliare la visione scientifica del mondo: «il suo contributo alla scienza – scrive – consiste precisamente nell’aver esteso la ricerca al campo psichico».[4] Ma, per lui, lo psichico è in sé inconscio;[5] ecco già posta tutta la distanza dalla psicologia accademica del suo e del nostro tempo. Le scienze dello spirito non sono in grado di rispondere a questa sfida.
- Popper a scuola da Freud
In questa impresa, il modo di procedere di Freud è falsificazionista e congetturale, cerca costantemente contro-esempi e prove che rivelino l’errore, e lo dichiara: «Le mie illusioni […] non si sottraggono, come quelle religiose, alla rettifica, non hanno carattere delirante. Se l’esperienza dovesse mostrare […] che ci siamo sbagliati rinunceremmo alle nostre aspettative».[6]
Sicuramente non si può rimproverare a Freud di dissimulare problemi, di disconoscere lacune e incertezze. «Il progresso del lavoro scientifico si compie in modo assolutamente analogo a quello dell’analisi. Si comincia il lavoro con determinate aspettative, ma bisogna trattenersi dall’esternarle. Mediante l’osservazione si impara, un po’ qui un po’ là, qualcosa di nuovo, ma a tutta prima i pezzi non combaciano. Si procede per congetture, si ricorre a costruzioni ausiliarie, che vengono ritrattate qualora non trovino conferma, si fa uso di molta pazienza, si è pronti ad ogni eventualità, si rinuncia a convinzioni precedenti per non trascurare, sotto il loro peso, nuovi e inattesi fattori; e alla fine tutta la fatica viene ripagata, le scoperte sparse trovano il loro luogo di incastro, si acquista la visione di tutto un settore dell’accadere psichico, si è portato a termine un compito e si è liberi per il compito successivo».[7]
È questo il modo di procedere di Freud. Basta un caso che contraddice la teoria ed eccolo a lavoro per ripensare l’intero impianto. Spesso parla di conclusioni insoddisfacenti che richiederanno ulteriori approfondimenti per raggiungere un certo grado di verisimiglianza, di rinuncia alla pretesa di validità universale, della natura congetturale e provvisoria delle ipotesi, di una scienza mai compiuta, sempre in movimento che merita interesse nonostante i suoi passi incerti, di un continuo lavoro di limatura della teoria in base alla progressiva esperienza.[8]
In diversi punti evoca il coraggio e la temerarietà, rivendica la libertà di scoprire rapporti e connessioni ai quali non corrisponde nulla nella realtà. «Sono necessarie persone che abbiano il coraggio di pensare cose nuove anche prima di poterle dimostrare».[9] La sua idea di progresso della conoscenza è illuminante: «I cambiamenti delle opinioni scientifiche sono sviluppo, progresso, non sovvertimento. Una legge, che in un primo tempo è stata ritenuta valida, incondizionatamente, si palesa quale caso speciale di una legalità più vasta oppure viene limitata da un’altra legge, la cui scoperta viene fatta solo in seguito, un’approssimazione rozza della verità viene sostituita da un’altra, più scrupolosamente adeguata, la quale a sua volta attende un ulteriore perfezionamento».[10]
È evidente che Popper non aveva letto Freud. Il Freud che parla di aspettativa, di congetture, di costruzioni ausiliarie, di osservazione, di dati che non combaciano, di contraddizione, di rettifica, di rinuncia e ritrattazione, di fattori inattesi, di scoperte sparse, di incastro, di attesa e soprattutto di progresso scientifico da pensare sull’analogia del progresso di un’analisi (proposta sovversiva!).
Freud aveva già risposto all’obiezione che nella prassi terapeutica risulterebbe oscurata la dimostrazione delle ipotesi e trascurata la loro esattezza.[11] Le prove di tale esattezza vanno cercate altrove, in quanto un intervento analitico non può essere condotto con gli stessi criteri della scienza (la seduta non è un’indagine teorica e non è un esperimento). L’analisi è un’esperienza non un esperimento: «nell’analisi si deve fare a meno dell’aiuto rappresentato per la ricerca dall’esperimento».[12] Un’esperienza non è riproducibile, ripetibile. La durata di una esperienza analitica non è quella di un esperimento da laboratorio, gli effetti di un intervento non sono immediati e facilmente valutabili. «Solo il prosieguo dell’analisi può permetterci di valutare se la nostra costruzione era esatta o inutilizzabile. Alla singola costruzione attribuiamo solo il valore di un’ipotesi in attesa di verifica, conferma o confutazione».[13]
Ciò che accade in analisi, attraverso la parola, non può essere misurato con i criteri di verità o di verifica fattuale. Non si tratta di stabilire la corrispondenza tra le parole del paziente e il suo vissuto, i suoi pensieri o tra quelli e la realtà esterna, oggettiva (strada peraltro perseguita da molte psicoterapie che inseguono la rettifica del senso della realtà percettiva, cognitiva, relazionale).
Che valore avrebbe la psicoanalisi se le formazioni dell’inconscio sarebbero trattate come dati oggettivi? Che valore avrebbe una interpretazione analitica estratta dal contesto di quell’entre-deux e universalizzata? Come si potrebbe oggettivare un’allucinazione? La situazione “scientifica” ideale sarebbe quella in cui abbiamo in analisi un soggetto senza inconscio, senza transfert, senza fantasma. Un non-soggetto. Con un analista che non interpreta e non costruisce ipotesi senza dati di fatto. Un non-analista.
- Psicoanalisi come peste
Il discredito della psicoanalisi a favore del successo di massa e scientifico delle psicologie non è poi così strano. Lo notava già Freud quando sottolineava come le teorie della psicologia individuale non possono non essere gradite al grosso pubblico. Una psicologia che «non ammette complicazioni, non introduce concetti nuovi e difficili da afferrare, ignora l’inconscio, elimina d’un sol colpo il problema opprimente della sessualità, limitandosi alla scoperta di qualche mezzuccio per rendere più comoda l’esistenza. Giacché la massa ama la vita comoda, non richiede che una spiegazione alla volta, non è grata alla scienza per le sue lungaggini, vuole avere soluzioni semplici e sapere che i problemi sono risolti». Ma non solo il grosso pubblico, anche l’establishment scientifico preferisce l’evidenza, l’immediatezza e risultati chiari. Ambedue vogliono una Weltanschaung che permetta di dare soluzione e posto a tutti i problemi della nostra vita, di sentirsi sicuri, di sapere quali mete e quali interessi perseguire.[14]
Così, se il cammino della scienza che Freud fonda è lento, faticoso, incerto, quello delle scienze neuro e psy è un cammino a grandi passi, veloce, certo, rassicurante. Non c’è da meravigliarsi se la società non concede benevolenza e credito scientifico alla psicoanalisi. [15] Non c’è da meravigliarsi se dopo oltre cento anni ancora non è evidente la portata innovativa del suo metodo, se le sue verità eversive sono state prima annacquate e poi digerite. Se chiedete – scrive Freud – cosa abbiano accettato della psicoanalisi «i molti psichiatri e psicoterapeuti che cuociono la loro minestrina al nostro focolare (senza essere del resto molto riconoscenti per l’ospitalità), le cosiddette persone colte che usano fare propri i risultati appariscenti della scienza, i letterati e il grande pubblico, la risposta è poco soddisfacente».[16]
NOTE
[1] Mentre accettiamo di buon grado la distanza incolmabile che c’è tra senso comune e fisica teorica riguardo concetti come forza, massa, velocità; non siamo disposti ad ammettere la stessa distanza tra l’uso comune e l’uso psicoanalitico di concetti come pulsione, inconscio, desiderio, sintomo, piacere, godimento, ripetizione, atto… Qui tutti si sentono di dover esternare il loro parere e contestarne l’uso specialistico. D’ora in poi, per brevità, ci si riferirà all’edizione Boringhieri delle Opere di Freud indicando il volume in numeri romani seguito dal numero di pagina, in questo caso: XI, 641.
[2] XI, 277.
[3] X, 125.
[4] XI, 263.
[5] XI, 641; VIII, 542.
[6] X, 482.
[7] XI, 277.
[8] VIII, 409.
[9] Lettera a Fliess dell’8-12-’95.
[10] X, 484.
[11] VI, 198.
[12] XI, 277.
[13] XI, 549.
[14] XI, 247-8, 262.
[15] VIII, 446; VI, 203.
[16] XI, 124.