Gli ultimi anni di Robert Schumann

Gli ultimi anni di Robert Schumann:  quando il sintomo non tiene più

Martin Egge

 Saggio pubblicato negli Atti del convegno Schumann: la musica, l’ambiente culturale, il silenzio della follia, tenutosi all’Università La Sapienza di Roma il 17 nov 2010, edito da LIM, Lucca, 2014

Il 27 febbraio 1854, nel primo pomeriggio, Robert Schumann esce di nascosto dalla stanza da letto, in pantofole e senza giacca e si incammina verso il Reno. Poco dopo si getterà nel fiume da un ponte. Di questo episodio è stato riportato un suo ultimo gesto: dà in pegno il suo fazzoletto di seta al guardiano del ponte. Alcuni pescatori, dai quali è stato notato al suo arrivo, quando lo vedono saltare in acqua lo traggono in salvo con la barca e riescono a trattenerlo quando tenta di nuovo a buttarsi in acqua. Il ritorno a casa deve essere stato tragico, Schumann è trasportato da otto uomini e seguito da una massa di gente che si divertiva a modo suo (era carnevale in quei giorni).

Pochi giorni dopo viene ricoverato in psichiatria a Endenich; da questo momento non vedrà più né la moglie né i sei figli. Questo avvenimento è preceduto da varie note in cui Schumann anticipa l’idea di gettarsi nel Reno. Già addirittura nel 1829 (13 maggio, a soli 19 anni) scrive: «mi addormentai e sognai che sarei annegato nel Reno».[1] Un anno più tardi, dopo un eccesso d’alcool (18 marzo 1830), scrive nel suo diario: «Desiderio di buttarmi nel Reno»[2] e il 28 novembre 1837 scrive a Clara:

E visto che tieni il mio anello in cosi poco conto – da ieri anch’io non voglio più bene al Tuo e non lo porto più. Sognavo di camminare sul bordo di un’acqua profonda, quando mi é venuto in mente di buttarvi dentro il tuo anello – e mi veniva l’infinito desiderio, di buttarmici dietro.[3]

Con questo sogno Schumann anticipa esattamente quanto avverrà molti anni più tardi. Infatti scrive Clara a suoi figli nel 1856:

Ma una cosa non potevamo trovare, ciò che mi addolorava molto, il suo anello di nozze e io supponevo che l’avesse buttato lui stesso prima di saltare nel Reno, nell’illusione interiore, che questo si sarebbe congiungiunto con il mio. […] Dopo ho trovato alcune fogli dove era scritto tra le altre cose: «Cara Clara, butto il mio anello nuziale nel Reno, i due anelli poi si raggiungeranno.[4]

  1. Una costellazione fatale presiede alla nascita di Robert

Robert Schumann è il quinto e ultimo figlio di August Schumann, libraio, autore e traduttore di Lord Byron, e di Johanna Cristine. L’anno della nascita di Robert, il padre fu colpito da disturbi psichici; la madre, musicista e cantante, in quel periodo soffre di depressione per la perdita di una bambina in tenera età, Laura.

Per lo psicoanalista quest’ultimo è un dato fondamentale, che segnerà indelebilmente il futuro del musicista: alla sua nascita, nel fantasma materno, il posto che lo accoglie è quello lasciato vuoto dalla sorella Laura morta poco prima, un destino che lo accomuna a quello di Van Gogh, che del fratello morto portava addirittura il nome.[5] La madre, nell’impossibilità di elaborare il lutto, non ha preparato un posto nuovo per lui, un posto che accolga simbolicamente l’ultimo nato, ma, nella sua depressione, lo colloca nel posto vacante lasciato dalla figlia morta. Nel desiderio materno si è verificato un ‘cortocircuito’: la madre non ha fatto in tempo a superare il lutto per la figlia morta e a rivitalizzare il proprio desiderio per un altro bambino.

Da parte sua il padre, a sua volta affetto da turbe nervose, non è stato in grado di separare il bambino dalla madre, di frapporvi un ‘Nome del Padre’ che impedisse l’inglobamento del figlio nel fantasma materno, di fatto aumentando il senso di abbandono, quell’istinto che si sviluppa in un bambino quando non trova, alla nascita, un posto simbolico che lo accolga; in questa situazione, come frequentemente accade in condizioni analoghe, il bambino deve aver sviluppato la sensazione di essere lasciato cadere dai familiari.

Al processo di identificazione del sé del piccolo Robert è mancato l’humus fertile del desiderio dell’Altro, una mancanza che ha prodotto l’identificazione all’oggetto perduto in quanto morto, definita da Freud ‘identificazione melanconica’: «L’ombra dell’oggetto cadde così sull’io che d’ora in avanti poté essere giudicato da un’istanza particolare come un oggetto e precisamente come l’oggetto abbandonato».[6] L’io identificato con l’oggetto perduto diventa così scarto, rifiuto e provoca nel soggetto reazioni che possono andare dalla mancanza di autostima, all’autodenigrazione, fino al suicidio. Come vedremo, che l’oggetto perduto dell’identificazione, la sorellina Laura, fosse di sesso femminile sarà di cruciale importanza per la vita e per la musica di Schumann.

  1. Infanzia, adolescenza e formazione musicale

A tre anni il piccolo Robert viene affidato alla madrina per alcuni anni, fino all’inizio dell’età scolare, a causa della malattia nervosa materna; una precoce separazione dalla madre, che sarà causa di angoscia dell’abbandono e accentuerà la mancanza di fiducia in stesso.[7] La sua infanzia e adolescenza saranno caratterizzate da questa antinomia: da una parte Robert ha una scarsa autostima, dall’altra, come sappiamo dal suo amico negli anni dell’adolescenza Emil Flechsig, è permeato dalla certezza «di diventare in futuro un uomo famoso – in cosa famoso non lo sapeva ancora – ma senz’altro famoso».[8]

Altre morti funesteranno presto l’esistenza di Schumann. Nel 1826 muoiono il padre e l’amata sorella Emilie, di quattro anni più piccola, che soffre di una malattia della pelle, di disturbi psichici gravi e ha un comportamento sessuale erratico. Con la sorella Schumann attua una specie di terapia musicale ante litteram: le suona dei Walzer e dei Ländler per farla ballare. Emilie si suicida gettandosi nel fiume vicino casa. Questa sorella perduta diventerà una figura dei suoi pochi scritti narrativi, ma non ne farà mai menzione nei suoi scritti intimi. Come scrive Michel Schneider:

 Quando entra nell’età adulta Schumann ha ricevuto quello che traccerà le linee del suo destino di artista: la voce, venuta dalla madre, le parole e il piano, venuti dal padre. E questa ferita nel mezzo: il canto della sorella scomparsa.[9]

Un legame inconscio si annoda tra la femminilità e la morte: la musica racconterà la giovane donna perduta.[10] Con la madre Schumann ha delle relazioni affettive dalle quali non è assente l’odio; in una lettera dell’anno 1830 l’accuserà di avergli “sbarrato il cammino per delle buone ragioni materne”.[11] Nel 1827 incontra Agnes Carus, moglie dello psichiatra Ernst August Carus, direttore d’orchestra e compositore dilettante. Tra Robert e Agnes Carus, di dieci anni più anziana di lui, nasce un amore impossibile, che rimarrà platonico. Nel 1828, nel salotto di Carus, Robert conosce Friederich Wieck e sua figlia Clara, che ha allora solo nove anni, esattamente la metà di Robert. Nel 1829 va a studiare diritto a Heidelberg, dove comincia a bere e manifesta i primi sintomi di malattia mentale; é in questo momento che inizia a comporre qualche Lied e contemporaneamente abbandona gli studi di diritto.

Nel 1832 Schumann rinuncia a diventare pianista, quando il dito medio della mano destra rimane paralizzato, e diventa compositore oscillando sempre tra la vocazione di poeta e di musicista. Nel 1833 la morte del fratello Julius lo lascia in uno stato di stupore melanconico, mentre quella della cognata Rosalie lo conduce verso fantasie di suicidio. È in questo stato psichico che, nella notte tra il 17 e il 18 ottobre 1833, Robert lascia descrizioni dei suoi primi disturbi, come questa breve nota diaristica: «uno stato di tortura permanente, una melanconia tenace»[12]. Da ciò non sono slegate particolari difficoltà con le donne: una, Agnes, di dieci anni più vecchia, l’altra, Clara, di nove anni più giovane (era nata il 13 settembre 1819); e poi la sorella Laura, morta prima della sua nascita e rappresentante un ideale materno in cui Robert si identifica; infine la sorella Emilie, cantante, morta suicida. In questa costellazione femminile nella mente di Robert, dove si situa Clara?

Scrive Schumann nel suo diario nel 1831, a 21 anni, tre anni dopo l’incontro con Clara: «Florestan e Eusebius sono la mia doppia natura e Raro l’entità in cui vorrei la loro fusione».[13] Sono noti i significati che Schumann attribuì all’indole dei suoi alter-ego; ma nel personaggio e nella stessa scelta del nome Raro, o meglio «Meister Raro», con Lacan potremmo indicare il «significante padrone» della psiche di Schumann; quel nome, infatti, si rivela essere un acronimo creato dalla fusione dell’ultima sillaba di Clara (RA) con la prima di Robert (RO). Il doppio speculare di Robert, l’ideale nato dalla fusione del suo nome con quello dell’amata, non ha altro posto per lui che quello occupato dalla sorellina morta Laura, il posto della sua prima identificazione malinconica. Ed è un posto pericoloso, in cui Schumann riuscirà a mantenersi in equilibrio, seppure precario, finché rimarrà un luogo agognato, sognato e desiderato, ma non una concreta realizzazione. Durante gli anni dell’innamoramento e della lontananza forzata da Clara, cui lo costringe il padre di lei, Schumann conduce una vita priva di limiti, che corrisponde alla sua fase di più soggettivo romanticismo, in cui vede la luce una parte cospicua della sua produzione musicale. Ma con il matrimonio egli diventa entro pochissimo tempo un capofamiglia borghese; procedendo negli anni, se da un lato il compositore si ritira sempre più dalla vita sociale, dall’altro i momenti di malattia diventano sempre più preponderanti. Con la realizzazione della vita matrimoniale Clara si colloca definitivamente nel posto della identificazione melanconica del marito, ne diventa la rivale e, a tratti, la persecutrice.

  1. La musica di Schumann

La Stimmung in cui Schumann crea le sue opere definisce una tonalità psichica che unisce l’abbattimento e l’esaltazione. Le crisi depressive scatenate dal suicidio della sorella Emilie nel 1824 si aggravano nel 1829, quando Robert è costretto a riconoscere, forse per la prima volta, il suo stato di depressione generale; nel 1833, poi, confida al suo diario che teme di diventare pazzo.[14] E infine nel 1834 muore Ludwig Schuncke, suo strettissimo amico, il che raddoppia le sue crisi depressive.[15]

Alle crisi depressive si alternano momenti fecondi, un’alternanza che troviamo anche nella scrittura musicale di Schumann: «La vita creatrice di Schumann si iscrive interamente sotto il segno dello Humor»;[16] Humor in cui si alternano momenti di torpore e momenti di sovreccitazione, spesso esaltati dall’alcool. Robert, già nel 1828, aveva scritto nel suo diario: «Quando mi sono ubriacato o ho vomitato, il giorno dopo la fantasia è più fluttuante e più alta. Durante l’ubriachezza non riesco fare niente, ma dopo sì».[17] Allo stesso modo la sua creatività si concentra incredibilmente in brevi periodi, intensi giorni di super-attività compositiva, interrotti da lunghi momenti di silenzio.

  1. Il dolore di Schumann

In che cosa si differenziano Schmerz (sofferenza) e Leid (dolore)? La sofferenza viene da qualcuno o da una causa identificabile. Quando Schumann si interroga nel Lied Op. 35 n. 11 «Chi ti ha reso così malato?», la domanda rimane senza risposta, almeno nelle parole. Schumann non sa il nome del suo dolore, il dolore non viene da nessuno in particolare. Come egli stesso annota nel suo diario nel 1834: «Se volete conoscere il nome del mio dolore non potrei che darvene uno – credo che sia il dolore stesso, non potrei esprimerlo meglio».[18] Il dolore è il nome del suo Altro o il nome che l’Altro grande assume nella melanconia. La sofferenza, così come il sintomo del nevrotico, è verbalizzabile, semantizzabile, attribuibile a un individuo, mentre il dolore non lo è; il melanconico è sommerso nel dolore senza poterlo semantizzare né individuare. A proposito della melanconia Freud impiega il termine Leid e non Schmerz; conseguentemente, mentre nella sofferenza c’è una mancanza, un’assenza, così come nel lutto c’è una perdita, nel dolore (Schmerz) al contrario c’è un buco che non è possibile simbolizzare. Un buco che Schumann chiama «nulla». Così, per esempio, scrive infatti nel 1844:

Bach ha la gravità, Mozart la leggerezza, Beethoven il fuoco, Schubert l’oscurità. Non mi resta che una cosa: il nulla. Ma questo nulla infinito è più vasto di ciò che gli altri hanno posseduto.[19]

Se è possibile un’elaborazione della sofferenza non è possibile un’elaborazione del dolore. Tuttavia per un certo tempo Schumann, sebbene non sia stato in grado di dare un nome, di semantizzare e focalizzare il suo dolore con le parole, è riuscito a dare ad esso una espressione oggettivata e compiuta con la musica. Come scrive Michel Schneider: «come la musica, la donna è il male e il rimedio. […] Per Schumann la musica resterà la lingua del femminile».[20] Altrove lo stesso autore torna sulla questione con queste parole:

fino a che Schumann ha potuto chiamare il suo dolore ‘Clara’, e farle appello in diversi modi attraverso un tema di cinque note di una gamma discendente [sta parlano di uno dei cosiddetti ‘temi di Clara’, che s’incontra ad esempio nel primo movimento della Fantasia op. 17 (NdR)], ha potuto tenere a bada la follia; ma l’attendeva qualcosa di ben più vasto che questo nome.[21]

Il sinthomo è per Jacques Lacan ciò che, in mancanza del supporto del Nome del Padre, precluso nella psicosi, può dare un ancoraggio al soggetto nel mondo.[22] Innegabilmente il sinthomo di Schumann è la musica. Ma, come abbiamo visto, la musica è per lui inscindibilmente legata al femminile. Si potrebbe dire che il sinthomo di Schumann ha due facce: una presenta l’aspetto simbolico della scrittura musicale, l’altra è la faccia dell’oggetto perduto, dell’ideale femminile che può diventare mortifero. Finché questo posto è occupato, a livello immaginario-affettivo, da una donna amata, esaltata nella sua fantasia (Agnes Carus, Cristel, Ernestine von Fricken, e fino ad un certo momento Clara), il soggetto riesce a sostenersi attraverso la musica. Finché Clara è situata nella posizione di oggetto di desiderio, e qui le lettere di Schumann indirizzate a lei sono un bellissimo testamento di questo, tutto può andare bene. Anzi la resistenza del padre di Clara rispetto al loro matrimonio ha esaltato ancora di più questo desiderio, generando una messe di composizioni di grande significato anche dal punto di vista del quadro psichiatrico; ma come abbiamo visto, tutto cambia con il matrimonio. L’ultima scena del (brutto) film Sinfonia di primavera di Peter Schamoni (Frühlingssinfonie 1983) indica questa situazione con le parole di Schumann: «In questa casa non c’è spazio per due pianoforti».

  1. La fine

Nel settembre del 1853 il giovane e molto promettente Johannes Brahms fa visita in casa di Schumann, che immediatamente riconosce il suo genio musicale. Clara è entusiasta di lui e, evidentemente affascinata, scrive che trova «commovente» vederlo al pianoforte con il suo viso così «interessante e giovane, che si illumina completamente mentre suona», notando poi che grazie a una «bella mano» è in grado di superare «con estrema facilità anche le più grandi difficoltà (le sue cose sono molto difficili)», in special modo nelle sue «così particolari composizioni».[23]

Schumann invece si trovava in una situazione lavorativa sempre più insostenibile, nel suo ruolo di direttore dell’orchestra di Düsseldorf, e la sua stessa salute peggiora sempre più. Allo stesso tempo, egli si allontana sempre di più da Clara; critica il suo modo di suonare il pianoforte, insiste che non lei ma Julius Tausch suoni la parte pianistica del suo Quintetto op. 44, non accetta più che lei sia presente durante le prove del coro come assistente, non si presenta più alle prove per il concerto previsto per il 10 novembre 1853 e smette di comporre. Clara, in quel periodo, è in attesa del settimo figlio, che nascerà quando Robert è già ricoverato in psichiatria a Endenich. Schumann ha sempre più spesso allucinazioni uditive che non lo lasciano dormire e le notti diventano un inferno; sente musica bellissima, ma anche spesso orribile e assillante, e avverte voci di spiriti che gli consigliano di mettere in atto qualcosa di estremo. Finalmente, egli chiede di essere ricoverato perché ha sempre più paura che potrebbe fare del male a Clara e afferma di non aver più il controllo dei suoi sensi. Nell’ultimo periodo mette in ordine fin nei più piccoli dettagli i suoi manoscritti e aggiunge delle note con molta acribia. Nel periodo estremo della sua vita, infine, Robert rivolge a Clara queste sue ultime parole: «Ah Clara, non sono degno del tuo amore».[24] Credo che queste testimonianze lascino intendere come Schumann si fosse preparato da mesi alla sua sparizione per suicidio o per internamento.

Se l’anello perduto rappresenta un amore finito, che potrà ricongiungersi soltanto nella morte, il fazzoletto dato come pegno al guardiano del ponte sul Reno, rappresenta la sua musica, che viene così considerata simbolicamente insufficiente come tributo da versare: il musicista quindi offre se stesso, il proprio corpo e la propria persona come vittima ad un ‘dio assente’. Schumann non ha cessato di pagare il suo debito simbolico attraverso la propria musica e, in quei giorni estremi della sua vita, compiendo quel gesto del fazzoletto lascia intendere di essere convinto che quel debito non possa più essere saldato.

In quel momento di passaggio, per Schumann come per Hölderlin, non c’è più alcun dio cui indirizzarsi e indirizzare la propria musica; è rimasta solo la Unglauben, il non credere, l’assenza di fede. Anche per lui, allora, valgono le parole di Hölderlin; e infatti una delle ultime frasi che Schumann rivolge ad un suo giovane amico suona: «ein Zeichen sind wir» («siamo un segno»). In quel ‘passaggio’ Robert Schumann è diventato ‘segno’, proprio come Hölderlin quando scrive: «Siamo un segno che nulla indica, siamo senza dolore e quasi abbiamo perso la lingua in terra straniera».[25] Nel momento del tentato suicidio la faccia mortifera dell’oggetto ha definitivamente preso il sopravvento; così scrive Lacan su questo argomento:

Freud ci dice che è necessario […] che il soggetto faccia i conti con l’oggetto. Ma il fatto […] che di solito […] questo sia mascherato dietro l’immagine ideale del narcisismo e misconosciuto nella sua essenza, implica necessariamente che il malinconico passi – se così posso dire – attraverso la propria immagine e attacchi in primo luogo questa per poter raggiungere in essa, l’oggetto che lo trascende e il cui comando gli sfugge – e la cui caduta lo trascinerà nella precipitazione – nel suicidio.[26]

Come Hölderlin, diventato segno, Schumann cessa di comporre attraverso i segni. La sua ultima composizione, le Variazioni in Mi bemolle sul cosiddetto Geisterthema, è unica testimonianza musicale della sua follia. Scrive il compositore come quel tema gli fosse stato dettato dagli angeli nella notte del 17 febbraio 1854; nella settimana successiva, dopo aver trascritto sul pentagramma quel tema comunicatogli dagli spiriti, si getta nel Reno. Eppure sembra convinto del valore di queste Variazioni; come nota uno dei più autorevoli studiosi schumanniani odierni, Bernhard Appel, Schumann riteneva che quelle tarde variazioni fossero qualcosa «che nessuno aveva mai inteso quaggiù.[27] Eppure già mesi prima Schumann era in preda di allucinazioni sonore, sentiva voci angeliche o demoniache senza sosta. Il 5 maggio 1855, un anno dopo il suo ricovero, Schumann scrive da Endenich la sua ultima lettera a Clara:

Cara Clara, il primo maggio ti ho mandato un messaggero della primavera; ma i giorni seguenti sono stati molto agitati. Dalla mia lettera che riceverai fra due giorni saprai di più [mai arrivata, o forse mai scritta]. In questa lettera si aggira un’ombra, ma ciò che essa contiene ti rallegrerà molto, mia cara. Non sapevo del compleanno del nostro amato [Johannes Brahms]; Per questo devo mettere le ali, perché arrivi entro domani il pacco con la partitura [intende la partitura autografa dell’Ouverture zur Braut von Messina, che Schumann regala a Brahms per il suo ventiduesimo compleanno]. […] Addio, mia cara. Tuo Robert.[28]

E il giorno dopo, conseguentemente all’agitazione provocata da questa lettera, il rapporto del medico riporta: «Ieri molto agitato. Oggi parlava della persecuzione della donna maligna».[29] Schumann ha cercato nella musica e in Clara un ancoraggio per poter sopravvivere. Ma, come la musica, anche la donna è per Schumann «il male e il rimedio» allo stesso tempo. Via via che il rapporto con Clara diventa sempre più difficile, Schumann non ha più scampo: sia la musica, sia Clara diventano i persecutori e lo porteranno alla completa disgregazione mentale. In questa situazione Schumann muore, il 29 luglio 1856, all’ospedale psichiatrico di Endenich rifiutando ogni cibo e in completo delirio.

 

NOTE                                            

[1]  Bernhard R. Appel, Robert Schumann in Endenich (1854-1856): Krankenakten, Briefzeugnisse und zeitgenössische Berichte, Schott, Mainz,, 2006, p. 55 (traduzione dell’autore).
[2]  Ivi., p. 55.
[3]  Ibid.
[4]  Ivi, pp. 54-55.
[5]  Cfr. Massimo Recalcati, Melanconia e creazione in Vincent Van Gogh, Torino, Bollati Boringhieri, 2009.
[6]  Sigmund Freud, Lutto e melanconia, in Opere, vol. VIII, Bollati & Boringhieri, Torino 1976, p. 108.
[7]  Martin Demmler, Robert Schumann und die musikalische Romantik, Artemis & Winkler Verlag, Mannheim 2010, p. 12.
[8]  Ivi, p. 15.
[9]  Michel Schneider, Schumann. Les voix intérieures, Gallimard, Paris 2005, p. 27.
[10]  Ivi, p. 18.
[11]  Lettera del 30 Luglio 1830: « […] Folg’ich meinem Genius, so weist er mich zur Kunst, und ich glaube, zum rechten Weg. Aber eigentlich – nimm’mir’s nicht übel, und ich sage es Dir nur liebend und leise war mir’s immer, als verträtest Du mir den Weg dazu, wozu Du Deine guten, mütterlichen Gründe hattest […]» (Jugendbriefe, cit., p. 117.)
[12]  Ivi, p. 38.
[13]  Robert e Clara Schumann, Journal intim. Robert et Clara Schumann, Buchet/Chantel, Paris 2009, prefazione p. V (traduzione dell’autore).
[14]  Marzo 1833: «Eine fixe Idee die wahnsinnig zu werden hatte mich gepakt» (Robert Schumann, Tagebücher vol. I, a cura di Georg Eismann, VEB Deutscher Verlag für Musik, Leipzig, 1971, p. 419).
[15]  Alla relazione che unisce i due musicisti è dedicato lo scritto di Renato Principe, in questo stesso volume.
[16]  Michel Schneider, La tombée du jour Schumann, Éditions du Seuil, Paris 1989, pp. 22-23.
[17]  Demmler, Robert Schumann und die musikalische Romantik cit., p. 18.
[18]  Schneider, Schumann Les voix interieurs cit., p. 27.
[19]  Ibid., p. 72.
[20]  Ibid., p. 58.
[21]  Schneider, La tombée du jour cit., p. 44.
[22]  Cfr. Jacques Lacan, Libro XXIII, “Il sintomo”, 1975-76; traduzione e cura di Antonio Di Ciaccia, Astrolabio, Roma 2006.
[23]  Demmler, Robert Schumann und die musikalische Romantik cit., pp. 161-162.
[24]  Ivi, p. 171.
[25]  Schneider, La tombe du jour cit., p. 19.
[26]  Jacques Lacan, Il Seminario, libro X («L’angoscia»), Einaudi, Torino 2007, p. 367.
[27]  Appel, Robert Schumann in Endenich cit., p. 45.
[28]  «Lieb Clara, / Am 1. Mai sandte ich Dir einen Frühlingsboten; die folgenden Tage waren aber sehr unruhige; Du erfährst aus meinem / Brief, den Du bis übermorgen erhälst, / mehr. / Es wehet ein Schatten darin; aber was er sonst enthält, das wird Dich, meine Holde, erfreuen. / Den Geburtstag unseres Geliebten wußt´ich nicht; Darum muß ich Flügel anlegen, daß die Sendung noch morgen / mit der Partitur ankömmt. […] Leb wohl, Du Liebe! / Dein / Robert. / 5 Mai. / 1855» (ivi p. 270).
[29]  Ivi, p. 271.

2 thoughts on “Gli ultimi anni di Robert Schumann

  1. CAM ha detto:

    Grazie, molto interessante

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *