Che bello sarebbe se il desiderio fosse chiaro, lineare, trasparente e coincidesse con il volere! Desidero viaggiare, voglio tenermi in forma, desidero un’altra vita…
Da ogni dove si sente fare l’elogio del desiderio. Psicologi e giornalisti ci esortano continuamente a tenerne accesa la fiamma.
Eppure è proprio Lacan, il paladino del desiderio, a metterci in guardia verso la sua facile accensione.
Prima di tutto perché il desiderio che muove davvero il soggetto non è lì già pronto all’uso, non è un pulsante che attende di essere premuto per avviare il motore. L’essere umano non è il padrone del suo desiderio, deve piuttosto trovarlo, riconoscerlo e verificarne il prezzo. Eh già, ha un prezzo e non è detto che siamo disposti a pagarlo! È possibile che si scopra che il proprio desiderio è ripugnante, subdolo o impossibile da mettere in atto. Purtroppo il desiderio umano (inconscio) non funziona in maniera conforme alle norme religiose, sociali, biologiche, istintuali, programmate dai geni o dalla superiore ragione. Al contrario, si presenta sempre con un che di deviato, di sconveniente, di imprevedibile. Nella esperienza concreta delle persone “il desiderio si presenta in primo luogo come un disturbo”.[1] Turba la percezione e la stessa ragione che vorrebbe indicarci il meglio per noi. Inoltre, quando ottiene l’oggetto desiderato lo svilisce, lo maltratta, lo mette alla prova in ogni modo, lo aggredisce e non c’è richiamo alla realtà o al proprio bene che tenga: il desiderio è cieco e ostinato. Insomma, Lacan lo urla: il desiderio si presenta come il tormento dell’uomo. Non è lo slancio vitale luminoso che ci spinge verso la realizzazione del bene e dell’amore per il prossimo. Proprio no! Man mano che questo benedetto intimo desiderio lo conosciamo, lo esploriamo e lo assumiamo, ci allontana sempre più da quello che si vorrebbe come un rapporto armonico, complementare, normale con l’altro. Infatti, nell’esperienza analitica non c’è desiderio che non ci appaia come problematico, disperso, polimorfo, contraddittorio e ben lontano da qualsiasi naturale armonia.[2]
Ecco allora che “facciamo finta” di volere questo e quello. Le tante cose desiderabili (dalla macchina, all’ultimo gadget elettronico, all’avventura amorosa) non sono altro che una difesa da qualcosa di più essenziale, centro d’incandescenza “psichicamente irrespirabile”).[3] Sono una difesa, un diversivo per tenersi alla larga dal desiderio inconscio che ci trascinerebbe in quel gorgo incandescente. “Ogni volta che suona l’ora del desiderio puro, ci teniamo alla larga”, dice Lacan. [4]
La tensione del desiderio che rivolgiamo agli oggetti di consumo, all’altro, agli ideali sociali pret-à-porter, alla Verità o alla Bellezza, ha per effetto di sospendere, di distrarre, di disarmare il nostro desiderio oscuro.
[1] Lacan J., Seminario VI. Il desiderio e la sua interpretazione, Einaudi, Torino, 2016, p. 396.
[2] Ivi, p. 522.
[3] Lacan J., Seminario VII. L’etica della psicoanalisi, Einaudi, Torino, 1994, p. 256.
[4] Ivi p. 274.