La biopolitica e il suo rovescio

Biopolitica e neoliberismo

È stato Michel Foucault a introdurre il neologismo “biopolitica”, per indicare l’insieme delle pratiche con cui il potere entra nella vita, nei corpi delle persone. L’oggetto della biopolitica sono tutte le pratiche e i saperi che riguardano il corpo, il suo governo. La “vita” è la posta in gioco delle nuove lotte politiche e delle nuove strategie economiche. Foucault puntualizza: «solo se si comprende cos’è in gioco all’interno di quel regime che è il liberalismo e che si contrappone alla ragion di stato (…), solo dopo che avremo saputo in che cosa consiste propriamente il regime di governo chiamato liberalismo, potremo anche comprendere che cos’è la biopolitica. (…) Si tratta, insomma, di studiare il liberalismo come quadro generale della biopolitica».[1] La biopolitica è, per Foucault, uno degli elementi indispensabili allo sviluppo del discorso capitalistico. Il potere della biopolitica si realizza in diversi modi: attraverso dispositivi di controllo e di calcolo su ogni aspetto della vita; attraverso i sistemi di comunicazione; attraverso la produzione del sapere scientifico e tecnologico; attraverso il mercato e le politiche economiche (che investono la nascita, la demografia, il cibo, la salute, la sessualità); attraverso il diritto e le leggi che normano comportamenti, prescrivono ideali da seguire.

Foucault conia il termine di “biopotere” per dar conto di questa funzione della biopolitica. Il biopotere consiste nelle numerose e pervasive tecniche per ottenere la gestione dei corpi e il controllo delle popolazioni (salute, demografia, migrazioni, …). Conseguenza dell’irruzione del biopotere è un insieme di leggi che normano la vita. Discipline che vanno dalla biologia alla genetica alla scienza statistica, alla demografia, alla psichiatria, alla psicologia, alla  sociologia, alla  criminologia, alla sessuologia, hanno contribuito a tratteggiare le linee della “normalità” e a fornire alle sfere di potere gli strumenti concettuali per regolare e gestire la vita individuale e collettiva. In particolare, la medicina è divenuto lo strumento principale per esercitare questo potere. È divenuta in maniera sempre più evidente un’istituzione, un dispositivo, un sapere, una prassi per governare e disciplinare i corpi. Luogo dove il sapere scientifico si è saldato perfettamente con la logica del mercato. Una logica che nell’era del neoliberismo si impadronisce ogni giorno di più della vita. Ma se il potere assume il corpo come oggetto del suo esercizio, Foucault è interessato a determinare ciò che nel corpo stesso gli resiste e, resistendogli, crea delle forme di soggettivazione e delle forme di vita che sfuggono ai biopoteri. Foucault interroga il potere, i suoi dispositivi e le sue pratiche non più a partire da una teoria dell’obbedienza e delle sue forme di legittimazione ma a partire da una teoria della “libertà”, della “soggettivazione” e della “resistenza alla normalizzazione”. Oggi non possiamo parlare di “lotta di classe” contro un potere oppressivo, poiché la vita stessa è diventata la posta in gioco delle lotte politiche: «il diritto alla vita, al corpo, alla salute, alla felicità, alla soddisfazione dei bisogni, il diritto a ritrovare, al di là di tutte le oppressioni o le alienazioni, quel che si è e tutto quello che si può essere».[2] Questo diritto alla vita, al desiderio, al godimento non è facilmente inquadrabile nel sistema politico e giuridico classico. Semmai è da inquadrare nel rovescio del sistema biopolitico. Il rovescio non è un altro sistema politico, con altri principi normativi o disciplinari, ma è il rifiuto della biopolitica, quale essa sia, per far esistere un luogo che lasci parlare ciò che resite, che non si lascia addomesticare, che non si lascia normare.

Il rovescio del sistema biopolitico

Da poco è uscito un libro che prende a tema questa possibilità, portando alle estreme conseguenze la premessa foucaultiana. Lo fa a partire dalla clinica psicoanalitica, dalla teoria lacaniana e in particolare dall’ultimo Lacan. Si tratta di Il rovescio della biopolitica. Una scrittura per il godimento, dello psicoanalista Éric Laurent (Alpes, Roma, 2017). Tema del libro è il corpo. È un percorso di lettura del Seminario XXIII di J. Lacan e degli ultimi scritti di J.-A. Miller, in particolare di L’inconscio e il corpo parlante, per estrarne le implicazioni per la clinica psicoanalitica contemporanea. Il titolo del libro fa esplicito riferimento a Michel Foucault,[3] per il quale, lo abbiamo visto, l’ideologia pervasiva di un’epoca si insinua nei corpi degli individui attraverso molteplici pratiche disciplinari (microfisica del potere). L’esigenza sempre più urgente e generalizzata di gestire le masse di esseri viventi, prevederne i flussi, guidarne il modo di comportarsi, e di soddisfarsi, ha reso il mercato, la regolazione burocratica, la scienza, dispositivi biopolitici che penetrano materialmente nella consistenza dei corpi. Grazie a questa interiorizzazione, i corpi sono resi docili, plasmati da questo grande Altro. Ma la stessa docilità e permeabilità del corpo può essere assunta per tentare la sua riscrittura. Grazie all’esperienza psicoanalitica, per Laurent, è possibile l’accesso a una posizione soggettiva che si situa a rovescio della biopolitica: «il soggetto si trae d’impaccio rispetto ai discorsi stabiliti prendendo appoggio sulla scrittura del proprio sintomo»[4]. C’è un altro interlocutore implicito di questo libro, è Maurice Merleau-Ponty. È a lui che Lacan risponde quando elabora la svolta del corpo. Ma se l’amico fenomenologo cercava un esserci attraverso la percezione, il vissuto, la carne, fenomeno originario in cui poter cogliere l’esistenza prima di ogni intrusione significante, Lacan cerca, portando oltre la ricerca incompiuta dell’amico,[5] ciò che del corpo non è visibile né esperibile. Questa messa a fuoco di Laurent rende conto della svolta lacaniana dal Simbolico al Reale.

Dall’immaginario al simbolico al reale

Ciò che è più proprio dell’essere umano è il suo corpo, ma non il corpo delle identificazioni, propinate dalla società delle immagini, dei consumi, del benessere. Ogni società propone le sue immagini-corpo in grado di regolare, governare, plasmare i suoi usi, i suoi vissuti, i suoi appetiti: corpo-macchina, corpo-contenitore, corpo-estetizzato… Ma se la biopolitica è il modo di assoggettare, disciplinare i “corpi docili”, ebbene la pricoanalisi è il suo rovescio, proprio perché prende in conto il rovescio del corpo docile, il lato che resiste a ogni addomesticamento e nel resto sintomatico, indocile, riconosce una singolare irriducibilità. Tra ideali incorporei e seduzioni di corpi-immagine, Lacan propone di trattare quel deposito di sapere di ciascuno che riguarda il trauma del godimento. Non una rappresentazione, ma quel deposito del trauma di godimento che «permette di orientarsi attraverso il rapporto con il sintomo e di tenere a distanza i miraggi dell’identificazione dell’essere parlante all’organismo»[6]. Quindi, la domanda è: che cosa ha fatto trauma in questo soggetto depositandosi come godimento, facendo traccia, marchio, stile? Il contesto di “scoperta e giustificazione” per rispondere a tale domanda è Joyce: la vita e l’opera. Su di lui Lacan fa leva per dare un’ultima torsione alla teoria psicoanalitica. Joyce compie il salto in grado di portare il sintomo alla potenza del linguaggio, facendo a meno del padre, dell’Edipo, dell’inconscio. Joyce mostra come attraverso il sintomo possiamo estrarre un sapere dal godimento singolare. Il sintomo come evento di corpo ci indica anche le vie del legame sociale, non più fondato sull’identificazione[7]. È questo l’orientamento a partire dal corpo. L’accesso all’esperienza analitica non è dalla porta del desiderio ma del godimento. L’esito del percorso analitico non è un nuovo ideale o una nuova immagine del corpo in cui identificarsi. Non è neppure il corpo “proprio” che si possiede, si governa, si modella secondo il proprio piacere. Ma il corpo segnato dal trauma (di lalingua), il corpo colpito dalla parola, è questo il corpo che crea il parlessere che ognuno è. Corpo che sfugge a qualsiasi immagine e identificazione, a qualsiasi oggettivazione. Sfugge a qualsiasi tecnica biopolitica. Invece, la scienza sempre più si affida alle tecniche dell’immagine e della mappatura anatomica, neurale, genetica in cui si vedono le immagini del corpo, della sua forma e del suo funzionamento, ma in cui non si vede il soggetto, il suo godimento traumatico. Si riduce il soggetto al proprio corpo-immagine l’essere parlante è identificato al suo organismo, secondo l’assioma che noi siamo il nostro corpo. [8] Il corpo come immagine, forma unitaria, sintesi di percezioni, ha una consistenza puramente mentale, lo si immagina come sede di sensazioni propriocettive e di affetti, depositario dell’idea di sé. Questa idea unificante, questa coerenza, questa unità del corpo è tutta mentale. Non a caso, però, le teorie che fanno appello all’immagine, alla rappresentazione, al funzionamento del corpo omettono ciò che del soggetto è più singolare, inafferrabile e non-mentale, ovvero ciò che del soggetto non è riducibile a nessuna immagine o vissuto: omettono il godimento[9]. Perché il godimento si presenta come altra cosa dalla percezione e dalla rappresentazione. Anche l’esperienza dell’arte ci propone un al di là del visibile, un al di là del corpo-immagine. Per Laurent gli autoritratti di Rembrandt sono una serie volta a catturare l’impossibile da vedere; le tele astratte composte di campi di colori uniformi di Rothko sono, secondo le dichiarazioni dell’artista stesso, un dispositivo in grado di far consistere il corpo e il vuoto che lo abita; le costruzioni dell’architetto Frank Gehry riproducono l’oggetto pesce della sua infanzia, anche qui un condensatore di godimento, sinthomo impossibile da dire e da vedere, se non attraverso una inedita scrittura dello spazio. Laurent più volte ribadisce l’antinomia tra soggetto e godimento. Il soggetto come pensiero, percezione, azione, viene meno quando emerge il reale del godimento. Noi crediamo di avere un corpo ma quando irrompe il godimento prendiamo atto della sua alterità. Crediamo di essere quella forma, quell’identità, quel’unità narcisistica che l’Io garantirebbe, ma… la pulsione rompe, divide, frammenta il corpo. Né l’immagine, né il vissuto, né la parola sono in grado di raccogliere e ricondurre tutto il godimento al corpo che crediamo di essere. Qualcosa sempre rimane fuori, in eccesso, non riassorbito.

Corpo e fantasma

Anche il fantasma è una risposta a questa tensione immaginaria: costruire un’immagine, uno scenario, un paesaggio entro cui situare l’oggetto del godimento cristallizzato, per potersene riappropriare, per riassorbire ciò che continuamente rimane in eccesso. Ma è un miraggio, visto che i circuiti pulsionali trascinano continuamente il corpo fuori-da-sé, il soggetto non è mai sicuro del suo oggetto di desiderio, mai soddisfatto. L’esposizione di Laurent è illuminante: il godimento fuori di sé, non immaginarizzabile, non sentito, non riducibile al soggetto delle facoltà è, al tempo stesso, il punto di leva della singolarità. È questo vuoto nel corpo, è questo non essere da nessuna parte a determinare la singolare spinta che fa di ognuno un essere parlante, un essere richiedente. Lacan si serve di Joyce per mostrarlo in maniera esemplare: «mostra come l’opera joyciana è articolata intorno a una perdita primordiale. Era necessario che un qualcosa non fosse sentito nel corpo affinché l’artista votasse la sua vita al tentativo di recuperarlo»[10]. E poco oltre ribadisce: «Il corpo, che fino ad allora Lacan aveva approcciato attraverso l’immaginario e l’identificazione presa in questo registro, non è più situato secondo un punto simbolico esteriore ma è ora colto attraverso l’incorporazione diretta del simbolico. È a causa di questo processo di incorporazione che nell’àpres-coup si può dimenticare il corpo del simbolico definendolo come incorporeo»[11]. Ma in che cosa il simbolico attiene il corpo? Attraverso l’oggetto a, il godi-senso. Lacan sposta il luogo del corpo, grazie al fuori-corpo dell’oggetto a. Laurent sottolinea come il simbolo non solamente uccide la cosa, ma crea le condizioni affinché al significante si attacchi al godimento producendo una nuova anatomia pulsionale. Ciò implica che se Freud articolava il godimento al corpo attraverso le zone erogene, ora va articolato all’anatomia fantasmatica, al corpo pulsionale effetto della costruzione simbolico-immaginaria. Ecco perché le modalità del godimento si dispiegano secondo la logica del fantasma. Ecco perché Lacan può proporre che l’identificazione non passa più per l’Altro, per l’amore per il padre, ma da un rapporto primario con il proprio corpo, con il godimento: una identificazione al proprio sintomo.

Corpo e sintomo

Per Freud il sintomo fa parlare il corpo attraverso l’identificazione. L’identificazione è la prima forma di legame (assumere l’altro come proprio ideale, oppure assumerne un tratto, un sintomo). Ma, per Lacan, c’è un al di qua in cui il sintomo non parla a nessuno, non è il sintomo articolato all’Altro, prelevato dall’Altro e a lui rivolto, non vuol dire, non significa qualcosa. C’è il proto-sintomo che è uno-da-solo, si inscrive nel corpo in silenzio, non comunicazione ma mera incisione, scrittura. Nel percorso analitico una volta decifrato e spogliato il sintomo di tutti i suoi significati e rimandi, troviamo dei resti sintomatici in cui si svela «la forma logica fondamentale del sintomo come ciò che si scrive sul corpo e non parla»[12]. È questa la struttura originaria del sintomo. È uno spostamento dalla concezione freudiana del sintomo verso quella che Lacan mette a punto grazie all’esempio Joyce: dal sintomo (del senso) al sinthomo (del godimento), dal sintomo come formazione dell’inconscio, metafora, effetto di senso, al sinthomo come evento di corpo, effetto di godimento. Da una consistenza solo semantica si passa a una consistenza di godimento. Il sinthomo come evento di corpo si connette al godimento senza passare dai circuiti significanti dell’inconscio, si impone come qualcosa che si ha autisticamente senza alcuna mediazione. L’artificio dell’analisi permette la costruzione dei sensi del sintomo, ma in realtà il nucleo originario del sintomo è il corpo marchiato, traumatizzato, senza senso: da questi marchi, traumi della lalingua, verranno in seguito effetti di senso.

Corpo e inconscio

Se, nel solco freudiano, l’insconscio è il discorso dell’Altro che si sostiene supponendo il Nome del Padre, ora che il sintomo non è primariamente articolato all’identificazione, all’Altro, cosa sostiene l’inconscio? È appunto questa la posta in gioco: «passare da un regime dell’inconscio fondato sull’identificazione, su una modalità del sapere con cui mi identifico con l’Altro tramite amore/odio, a un inconscio fatto di equivoci attraverso il quale il corpo decifra il traumatismo in quanto luogo in cui emergono il godimento e il suo scandalo»[13]. Lalingua come luogo di iscrizioni significanti senza senso, costituisce il fondamento dell’inconscio come equivoco, l’effetto è la svista. Se a proposito dell’inconscio freudiano Lacan poteva dire il ya du désir, c’è del desiderio, ora dirà il ya de la bévue (svista). La svista è primaria nel rapporto con il sintomo e il corpo. È il godimento del corpo a sostenere il sintomo e quindi l’inconscio (ormai fuori-senso). L’inconscio è il luogo del sapere, il corpo è il luogo del trauma. Lacan propone una nuova definizione di inconscio che parte non dal non-conosciuto, ma dal buco. «L’alternativa tra psicoanalisi e psicologia è chiara. O si parte dal rapporto del corpo con il buco, ed è la via del nuovo inconscio, oppure dall’articolazione del corpo con la sua rappresentazione, ed è la via della psicologia […]. Il parlessere si aggiunge come buco alla natura, non come nulla al mondo, come lo intendeva Sartre, ma abitando la natura in quanto buco e articolandosi intorno alle consistenze R, S e I»[14].

Sublimazione e godimento

Il corpo, quindi, è un buco che il parlessere tenta di riempire con una credenza[15]. Riempire il corpo, dargli consistenza, credere di averlo, è possibile godendo del proprio sintomo. Ma il godimento può prendere corpo in molti modi. Già Freud in Pulsioni e loro destini indicava la sublimazione tra le possibili trasformazioni della pulsione: la meta sessuale può essere scambiata con un’altra psichicamente affine senza perdere d’intensità, la pulsione pur inibita nella sua meta sessuale si soddisfa senza rimozione, c’è comunque godimento. Per scambiare basta credere. Ciò che è primario è il corpo come buco in quanto è ciò di cui non c’è idea, non c’è immagine; poi la credenza nell’immagine verrà a dare consistenza e ne farà la stoffa per costruire il mondo. Da questo momento ogni credenza con cui cercherà di riempire quel buco è una sublimazione, un S-K-Beau, uno sgabello, che fornisce anche una padronanza. Da qui l’adesione agli ideali della cultura, come riserva di sgabelli. Non bisogna dimenticare, però, come sottolinea Miller, che «Lo sgabello è la sublimazione, ma in quanto si fonda sull’io non penso primario del parlessere»[16]. Lo sgabello è dalla parte del godimento della parola che include il senso. Il godimento proprio del sinthomo, invece, esclude il senso[17]. «Parlare con il proprio corpo-sgabello significa passare per i défilé del senso, il che produrrà gli universali, e questo suppone un godimento particolare che si prova con il corpo: il godimento della parola»[18].

Sacchi e corde

Lacan aveva dato lo stadio dello specchio per dire il corpo: l’immagine del corpo forniva il modello per la formazione dell’io. Ora si chiede: prima dell’io, prima dell’immagine del corpo, prima dello stadio dello specchio, cos’è il corpo? Prima dello specchio, il corpo è il prodotto dell’impatto del dire, che si scrive senza senso e senza immagine, sostanza godente, oggetti a che non si possono vedere, perciò il corpo è diverso dal soggetto che viene rappresentato da un significante per un altro significante. Corpo e soggetto dell’inconscio non sono la stessa cosa. Il corpo è preso nelle tre dimensioni RSI, si inscrive attraverso queste tre consistenze: prima dell’immagine, prima della parola c’è questa scrittura che dà il supporto, permette di agganciare dei significanti. Ma come? Con il fare, l’uso. Ma non si tratta di un uso corretto, funzionale, piuttosto di errori di “scrittura”, buchi, sviste, puro accadere. «Al livello de lalingua, insiste Lacan, le differenze tra significante, significato, sintassi e semantica non tengono, dato che vengono solo in seguito, con quella che lui chiama l’elucubrazione di sapere sul linguaggio. Prima questo si sente, poi si dimostra la struttura del linguaggio. Prima di quell’elucubrazione di sapere che è il linguaggio, è sufficiente lalingua con il suo impatto sul corpo, il buco, l’ex-sistenza e la consistenza»[19].

Una nuova clinica

Partendo dal sinthomo, quali conseguenze si possono trarre nella pratica clinica? Gli usi dell’interpretazione, del transfert, della supervisione, della passe ne risultano radicalmente trasformati. Anche le tipologie cliniche, nota Laurent, a partire dal Seminario XXIII, vanno radicalmente ripensate; ad esempio l’equivalenza delle tre consistenze si contrappone alla ripartizione discontinuista tra nevrosi, psicosi e perversione e ridà attualità alle prospettive sul narcisismo e sul suo al di là. In generale, l’uguaglianza clinica data dalle tre consistenze RSI, è caratterizzata dai rispettivi buchi che si esprimono come debilità (I), delirio (S), abbindolamento (R). Per poter analizzare, occorre giocare la partita con questi tre buchi, far sì che la debilità e il delirio siano agganciati da un godimento. «Al di là dell’identificazione e dei suoi significanti-padroni differenziati, si trova un farsi abbindolare da un reale. […] Vuol dire guidare l’esperienza verso il reale al punto in cui il soggetto incontra l’esperienza di godimento»[20]. Sottomettendo il godimento dello sgabello a quello del sinthomo.

 

 

[2] M. Foucault, La volontà di sapere, Milano, Feltrinelli, 1996, p. 128.

[3] M. Foucault, Nascita della biopolitica, Milano, Feltrinelli, 2012.

[4] É. Laurent, Il rovescio della biopolitica. Una scrittura per il godimento, Roma, Alpes, 2017, p. 170.

[5] M. Merleau-Ponty, Il visibile e l’invisibile, Milano, Bompiani, 2003. Cosa cerca il fenomenologo? Un esserci attraverso il corpo, la percezione, il vissuto. Cerca l’Erlebnis come fenomeno originario in cui si possa cogliere l’esistenza prima di ogni intrusione significante, la pura presenza prima della invadenza dell’Altro, prima della cattura nel linguaggio. Questo sarebbe il luogo dell’autenticità e della libertà del soggetto nel suo rapporto immediato col mondo. Nelle nozioni di corpo-proprio, di sentire primario, di carne si intuisce il tentativo di Merleau-Ponty di rigettare la logica disgiuntiva, di eludere l’inconscio come macchina significante. Il corpo, appunto, come origine, sintesi, stato primordiale, indiviso, pre-categoriale, pre-linguistico, che costituirebbe la trama di fondo delle nostre relazioni con il mondo: «Il mio corpo è fatto della medesima carne del mondo» (p. 260). Ma il corpo mente, imbroglia con le sue sensazioni, le emozioni, le illusioni, le allucinazioni.

[6] É. Laurent, Il rovescio della biopolitica, op. cit., p. XV.

[7] Laurent, nell’ultimo capitolo, mostra come i fenomeni della politica possono essere letti non con la logica delle identificazioni di Psicologia delle masse, ma con la logica del godimento, dell’evento di corpo.

[8] É. Laurent, Il rovescio della biopolitica, op. cit., p. IX.

[9] Ivi, p. XI.

[10]   Ivi, p. XIV.

[11] Ivi, p. 7.

[12] Ivi, p. 19.

[13] Ivi, p. 35.

[14]   Ivi, p. 90 e 95.

[15] Ivi, p. 53.

[16]   Ivi, cit. p. 56.

[17]   «Il corpo parlante, ha due godimenti, il godimento della parola e il godimento del corpo: uno lo porta allo sgabello, l’altro sostiene il sinthomo» (ivi, p. 99).

[18] Ivi, pp. 60-61.

[19] Ivi, p. 85-86.

[20] Ivi, pp. 139-140.

One thought on “La biopolitica e il suo rovescio

  1. Tiziana Bonfili ha detto:

    Credo che in questi giorni proprio questo articolo vada letto e riletto, anche domani lo rileggerò ^__^. Bellissimo, Michele

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