Lituraterra è uno straordinario breve testo di Lacan del 1971. Punto di riferimento per la critica letteraria.
Eppure Lituraterra non parla di letteratura.
Lacan propone questo neologismo per evocare una scrittura che non si fa su fogli di carta ma…
Relazione al convegno Letteratura e letterarietà in Jacques Lacan
26.11.2016 Istituto Francese Centre Saint Luis – Roma
- Terra, corpo e nuvole.
Cosa vuol dire che nasciamo immersi in un bagno di linguaggio? Che da subito siamo marchiati dalle parole, dal significante? Che l’Altro ci piove addosso determinando il modo in cui ci identificheremo, il modo in cui godremo, il modo in cui ci lasceremo cadere o ci rialzeremo?
L’apologo che Lacan costruisce in Lituraterra, può essere letto come una illustrazione di questo processo di inscrizione.[2]
Lituraterra non parla di letteratura. Lacan propone questo neologismo per evocare una scrittura che non si fa su fogli di carta ma… sulla terra. In un viaggio di ritorno dal Giappone, sorvolando le vaste lande della Siberia osserva una strana cartografia che la pioggia produce con i ruscellamenti, i tracciati, i detriti che lascia sul terreno: litura-a-terra; una sorta di grande foglio su cui restano incisi strani segni che appaiono come tratti di ideogrammi.
Ma non è dell’erosione geologica che Lacan ci parla. La terra sta qui per corpo vivente, corpo che si costituisce come godente. Lituraterra parla, quindi, del significante che incide il corpo. Parla del trauma del linguaggio, parla della costituzione del soggetto, della sua nascita al mondo propriamente umano. I significanti sono nel cielo sotto forma di nuvole. Le nuvole sono l’Altro.
Dalla rottura di queste nuvole precipita la pioggia, gocce come sciame (essaim), una serie di S1 isolati che colpiscono e traumatizzano il terreno, scavano, incidono solchi. L’Altro fa piovere i suoi significanti sulla terra, cioè sul corpo del bambino.
Questa iscrizione che le gocce lasciano sul corpo, viene da un linguaggio «di cui il soggetto […] non sa né il senso né il testo né in che lingua è scritto, e nemmeno che è stato tatuato sulla sua pelle mentre dormiva».[3] Ecco perché le gocce arrivano come S1 isolati, senza senso. Il soggetto è ancora dormiente, non costituito, si sveglierà, nascerà come soggetto per effetto di questa iscrizione.
Ma a ben vedere non tutte le gocce che colpiscono il bambino hanno lo stesso effetto, non tutte incidono, solo alcune lo segneranno. Le gocce non sono le stesse per tutti e solo alcune scavano, non necessariamente quelle più ripetitive o quelle più grandi e pesanti. Solo i significanti, i gesti investiti di un particolare godimento da parte dell’Altro. Solo le parole cariche di… un certo godimento.[4]
Si è parlato intorno a voi e questi significanti sono stati investiti, caricati di una intensità che vi ha turbato.[5] Il trauma dipende dal fatto che gli S1 che piovono addosso sono enigmatici poiché investiti dall’Altro senza che il soggetto ne conosca il senso e le regole, è «da questo incontro che nascono i marchi sul corpo».[6]
Ma questo terreno non è una tabula rasa che si lascia imprimere indifferentemente. Il corpo, in quanto terreno, ha diverse conformazioni, diverse consistenze. Punti in cui si lascia penetrare, altri impermeabili dove le gocce S1 scivolano via. Il soggetto non è passivo. Il significante è ciò che fa trauma, ciò che incide il corpo, ma la forma dell’incisione non discende direttamente dall’alto delle nubi, si produce dall’incontro contingente con un particolare corpo-godente.
Sono due versanti ben esemplificati nell’esempio che Eric Laurent[7] fa a proposito del primo ricordo di Michel Leiris. Mentre da bambino giocava, un soldatino sta per cadere, lui lo afferra al volo ed esclama: Reusement!, pura interiezione; la risposta correttiva della madre (No, non si dice reusement, si dice heuresement) marca reusement come significante nel quale si fissa una particolare intensità (godimento). Leiris farà di questa identificazione “correttiva” il suo sinthomo: la ricerca di una scrittura letteraria pura che non permettesse a nessuno di correggerlo. Se la madre avesse risposto esultando e ridendo: “Ah, bravo che bella parola!!!!”, anche in questo caso poteva esserci una fissazione di reusement come significante padrone, ma con altri effetti di concatenazione e altro stile di godimento (forse meno melanconico).
- Marchi, lettere e godimento
I significanti investiti dall’Altro, incontrando un particolare terreno-corpo formano marchi, vacuoli, solchi in cui la pioggia alluvionale si raccoglie e scorrendo erode, lascia sedimenti, genera corsi d’acqua, disegna percorsi, tracciati che dall’alto appaiono come una scrittura. Nel loro farsi, questi percorsi d’acqua, seguono le particolari caratteristiche del terreno. Sono questi percorsi-lettere, che l’acqua-godimento disegna, a costituire litura-terra, cioè lo stile di godimento di ciascuno, i circuiti della propria pulsione.[8] In ognuno, del trauma dei marchi rimangono tracce nel sintomo, ma anche nelle invenzioni del senso e nello stile di godimento, come il caso Leiris testimonia. L’iscrizione, seppur traumatica, rappresenta il momento necessario, costitutivo del soggetto, è il momento in cui il bambino reagisce all’Altro, è l’istante dell’insondabile scelta dell’essere.[9] A partire da questa Bejahung primordiale si gioca lo stile d’entrata nell’Altro, si istituisce il soggetto come risposta al trauma, come modo di concatenare, di produrre sapere (S2) e di ricavarne un particolare modo di godere. Il soggetto, quindi, non è determinato in maniera assoluta dall’Altro, secondo una logica puramente impressiva. Lacan, in questo testo, contesta a Derrida sia la tesi di un’architraccia che si vorrebbe primaria rispetto al significante, sia la tesi di scrittura come testo invece che come puro gesto calligrafico, tratto unico, singolare; con l’architraccia e la scrittura-testo condanneremmo il soggetto a una posizione passiva. Mentre già a partire dai marchi, il soggetto è attivo, articola una “risposta”, può dire sì o no al significante. Può acconsentire o no alle forme. Il trauma del significante che ci ha marchiati obbliga a una risposta, a un’invenzione soggettiva.[10]
Da un primo momento in cui il trauma è essere presi nella percussione degli S1, della serie che ci piove addosso e ci assoggetta, si passa a un secondo momento in cui i marchi che la pioggia percuotente ha lasciato sul nostro corpo-terra, diventano vere e proprie lettere in cui il godimento si raccoglie in una forma singolare, tratto unico con cui si scrive la propria lingua. Questo è il momento costitutivo del soggetto come risposta, come difesa dall’irruzione del reale alluvionale, è il momento della nascita del soggetto vero e proprio. Il significante che dalle nubi è precipitato come pioggia, diventa scrittura singolare a partire dalla risposta contingente del soggetto: «la scrittura non ricalca il significante, bensì i suoi effetti di lingua, ciò che viene forgiato da parte di chi parla».[11] A questo punto la lettera stessa cambia statuto, non più semplice marchio o traccia ma litorale, punto di articolazione tra sapere e godimento, tra simbolico e reale.
Ecco tutta la distanza dalla scrittura come testo e dall’architraccia. Per Lacan il processo della scrittura inizia tra le nuvole, sembiante per eccellenza, si concretizza nell’erosione del terreno che darà singolari effetti di lingua-godimento nel parlessere. Questo cambia lo statuto del soggetto, da preda traumatizzata dal godimento alluvionale a soggetto attivo che usa la lingua per godere. Non rimane impantanato, non rimane fissato al tratto, al marchio, ma può implicarsi nell’Altro, passare dall’Uno senza Altro, all’S1 nell’Altro. Dalle nuvole, all’erosione della terra, si passa al maneggiamento del saper fare con queste lettere. È il punto a cui giunge Lituraterra. Dal trauma al saperci fare con lalingua (altro neologismo che Lacan introduce per evocare una lingua indivisa, originaria, privata, attaccata al corpo, intrisa di godimento). Le formulazioni di lituraterra e di lalingua sono conseguenti, vanno lette in sequenza. E di fatti l’introduzione del neologismo lalangue compare per la prima volta nel seminario immediatamente successivo[12] a quello in cui appare lituraterra.
- Da lituraterra a lalingua
Lituraterra è il terreno vivente, pulsante, godente, su cui giunge il vomere del significante. È il terreno prima di diventare la mappa, cioè il fantasma. È l’inscrizione prima che le tracce acquistino un senso – che verrà solo dopo, nell’aprés coup. Terreno dove i significanti sono primordiali, soli, asemantici; ma non sono senza godimento, in quanto è grazie a un investimento libidico e a una certa intensità che si fissano come S1 in grado di incidere, scavare, produrre avallamenti che attraggono altri significanti; è il portato di godimento a fare di S1 un significante padrone dotato di una specifica forza gravitazionale. Punto intorno al quale si forma una particolare costellazione, una concatenazione di significanti che disegnano la mappa fantasmatica di ogni soggetto, il suo stesso inconscio: «questa materializzazione intransitiva dal significante al significato è ciò che si chiama inconscio, che non è ancoraggio ma deposito, alluvione del linguaggio».[13]
Ecco, allora, che possiamo fare dell’apologo di Lituraterra un contrassegno per situare sia la costituzione del soggetto che la messa in prospettiva del lavoro analitico. Soprattutto nell’ultima fase del suo insegnamento, Lacan ha portato su questo terreno la partita analitica. L’atto analitico, il taglio, rispondono alla necessità di isolare e separare quelle coalescenze che l’alluvione del linguaggio ha prodotto.[14] Se, infatti, nel fantasma si produce un incollamento tra uno degli oggetti della pulsione parziale (a) e l’S1 (un particolare ideale che è stato investito, si è fissato e a cui il soggetto si è identificato), l’operazione analitica dovrà puntare a individuare i significanti padroni del soggetto, staccare quel particolare ideale o S1 dal godimento e dal senso che ha abbracciato: separare I da a, S1 da a, S1 da S2. Non basta individuare l’S1 rimosso, che ha funzionato come forza gravitazionale determinando il corso della vita, c’è anche il portato di godimento che in quella originaria cancellazione si cela: la Cosa, l’oggetto perduto, il plus-godere ne sono delle insegne.[15] L’interpretazione per Lacan deve puntare a isolare ed estrarre quel significante primordiale, S1 isolato, fuori-senso e precondizione della significazione, da cui si è innescata la catena significante. Significante originariamente rimosso che sta sotto il fantasma fondamentale.[16] Ecco perché il fuori-senso è al cuore della struttura, più vicino al reale. Solo puntando al fuori-senso l’operazione analitica farà emergere la non necessità del proprio fantasma, della propria storia, di quello che fino a quel momento ci appariva come il nostro destino, segnato dalla inevitabile ripetizione. Favorirà l’incontro con la contingenza al cuore del nostro essere. Incontro segnato da uno shock, dalla destituzione soggettiva, ma anche dallo stupore, dal risveglio e dalla sensazione di rinascere. Tutta la nostra vita ammantata di grandi narrazioni, ora si ritrova ridotta a una impersonale iscrizione su cui si era attaccata una soddisfazione (S1//a), marchiata da un significante senza senso (S1//S2), un pezzo di rudere, uno scarto di un banale godimento – sicut palea – su cui il corso della vita aveva costruito la cattedrale che abbiamo pensato di essere (a //I).
Il lavoro su lalingua, su questi significanti padroni fuori-senso e sui circuiti di godimento sedimentati permette di vedere, di separare e rendere disponibili a un nuovo uso gli elementi di quella originaria iscrizione. Poiché uno spazio di riscrittura c’è, si tratta di maneggiare la propria lalingua, saper articolare, saper fare discorso di quelle lettere di godimento lì incise. Assumendo quei «depositi che si accumulano per i malintesi e le invenzioni linguistiche di ciascuno»,[17] si passa dalla lingua traumatica costituente il soggetto, al saperci fare con lalingua del soggetto costituito. A condizione, però, di potersene servire.
- Nella nevrosi e nella psicosi
Ci sono condizioni in cui questo passaggio si rivela problematico. A volte, infatti, il soggetto non si ritrova in quelle iscrizioni. Non vi si riconosce e vorrebbe riscrivere i sentieri, le svolte, gli incroci, i punti di partenza. Ma ora che l’inchiostro si è assorbito sembra impossibile cancellare e rifare la mappa. Pur continuando ad essere immersi nel linguaggio, i significanti che ora l’Altro offre non sembrano così incisivi, non si incarnano, scivolano via come parvenze. Ciò che ora l’Altro fa piovere addosso non è in grado di incidere. Nulla di nuovo, solo ripetizioni e riedizioni di quell’antica scrittura. In certi casi un’analisi può aiutare a riconoscere e isolare i significanti padroni, ad alleggerirne il marchio, a riscrivere tracciati, a sbrogliarsela con il godimento, con il proprio corpo, con l’Altro, a fare un diverso uso dell’inconscio. In una sorta di reversione temporale (Nachtraglich), grazie a un percorso analitico è possibile ritornare in litura-terra e rifare i circuiti. Tale reversione è possibile perché sostenuta dalla relazione di transfert. Come notava Lacan: «Per quanto riguarda il fenomeno del transfert, questo partecipa sempre all’elaborazione propria della storia come tale, e cioè a quel movimento retroattivo attraverso cui il soggetto, assumendo una congiuntura nel suo rapporto con il futuro, rivaluta la verità del suo passato commisurandola alla sua nuova azione».[18] L’analista provoca questo tempo e lo incarna con la sua stessa presenza.
Ma se il soggetto è schizofrenico non ci sono percorsi o discorsi stabiliti che tengano, le soluzioni standard non funzionano. Quindi, dovrà vedersela da solo, dovrà fabbricarsi delle soluzioni di bricolage. Il punto è che si troverà nella condizione di lituraterra, traumatizzato dall’Altro, in preda a significanti isolati fuori-catena, a organi e funzioni fuori-corpo.
Nel 1937, poco prima di essere internato, Antonin Artaud scrive:
Ho lottato per cercare di esistere, per cercare di acconsentire alle forme, a tutte le forme che hanno rivestito la realtà di una delirante illusione d’esser al mondo. Non voglio più essere un illuso. Ora, morto al mondo; a quello che per tutti gli altri è il mondo.[19]
Tutti i tentativi che fino a quel momento ha messo in atto per “acconsentire alle forme” sono falliti: la poesia, il teatro, il cinema, le tradizioni spirituali. Ora si risolve a lasciare ogni illusione, a sciogliere ogni legame, ogni credenza nell’Altro. Ma dopo cinque anni in cui era “morto al mondo”, dal manicomio di Rodez, tenterà non di acconsentire ma di inventare, rifiutando ogni sapere: «Basta, basta e basta con il sapere».[20] Non si tratta di recuperare o di ricevere un sapere ma di inventarlo, allora il linguaggio e le cose stesse scaturiranno come per la prima volta ora, qui. Quello di Artaud è un tentativo di rigenerarsi da sé nell’istante, senza memoria: «ciò che faccio lo invento adesso e il passato viene dopo e non prima».[21] La riscrittura delle lettere di godimento della propria lingua permette questa rigenerazione immemore di una lingua perduta, di un oggetto perduto, di un mondo perduto, da sempre:
È la ricerca di un mondo perduto
e che nessuna lingua umana raggiunge
lingua la cui immagine sulla carta non è più di un
calco, una specie di copia
ridotta
Poiché il vero lavoro è nelle nubi.
Parole, no,
aride placche di un respiro… [22]
Cerca, Artaud, un linguaggio che possa riscrivere la mappa di carne. Esiste una lingua che non sia un calco, una falsa copia del reale? Per dirlo con le parole del titolo del seminario di Lacan del ’71: esiste un discorso che non sia del sembiante?
- Lalingua di Artaud
Artaud cerca sotto gli strati del linguaggio una corrente sotterranea di impressioni, corrispondenze, ecolalie, per ottenere uno «scuotimento fisico».[23] Si tratta di consumare la lingua data e inventarne una nuova che recuperi quelle vibrazioni sotterranee. In una lettera a Henri Parisot del 1945, Artaud scrive:
io avevo avuto da molti anni un’idea della consunzione, della consumazione interna della lingua […]. E io ho scritto, nel 1934, un intero libro in questo senso, in una lingua che non era il francese, ma che chiunque poteva leggere, a qualunque nazionalità appartenesse. Questo libro disgraziatamente è andato perduto.[24]
Anche il libro è da sempre perduto, lo si può solo ri-scrivere, a cominciare dal titolo, Letura d’Eprahi Falli Tetar Fendi Photia o Fotre Indi. Ecco alcuni esempi ai quali il linguaggio di questo antico libro doveva rassomigliare. Ma non si può leggerli che scanditi, su un ritmo che il lettore deve trovare da solo per capire e per pensare:
ratara ratara ratara
atara tatara rana
otara ratara kana.[25]
Scritto in una lingua inventata, la glossolalia[26], caratterizzata dalla ripetizione di sillabe, da assonanze fonetiche, semantiche e intertestuali. Lallazioni, balbettii, neologismi, ecolalie, olofrasi, ritornelli, cantilene, interiezioni, onomatopee, omofonie, sono gli elementi costitutivi di questa lingua, da intendere non come figure retoriche e linguistiche ma come elementi sovrainvestiti, lettere a cui è attaccato un particolare godimento.[27] Qui un neologismo non è semplicemente una parola nuova, può essere una parola comune ma investita con una intensità e un accento speciali (ad esempio la parola Ratte per l’Uomo dei topi).
C’è nella glossolalia un uso non comunicativo e asemantico del linguaggio. Per liberare il nucleo di godimento racchiuso nella lettera, il linguaggio deve essere sovvertito, l’S1 tagliato dall’S2. In questa sovversione la lettera non è pura trascrizione del significante, ma è capace di risvegliare le qualità sensibili, corporee della Cosa pulsante che giace sotto la parola. La lettera catalizza e libera quel godimento che il linguaggio aveva velato e cancellato. Ad esempio, questa sequenza è formata da una serie di sillabe che rinviano al nome dell’amata Cécile Schramme e al nome stesso di Artaud, nellla sillaba tau, che a sua volta evoca la forma della croce tao, quindi il Cristo, la croce in quanto strumento di dolore, e anche l’origine (thaitiana) della parola tatuaggio tatau che indica il martellare, la percussione dello strumento di incisione ed evoca il marchio.
schratassement de la douleur
schraum tassement de la douleur
christa crement de la douleur
schram tau crament
schrau tau cromant
Schramm tau cromant
scraum tau cramant
schramm tau schraument
tout ca au hazard du gouffre de l’envie.[28]
In questa scrittura si percepisce un mormorìo stratificato di echi transgenerazionali, familiari, marsigliesi, ebraici, turco-ciprioti. La fusione di sillabe e di parole, che provengono da diverse lingue o idioletti, crea neologismi e nuovi sensi, ma soprattutto risveglia risonanze libidiche, fa riaffiorare qua e là tracce di quelle stratificazioni di significanti. La lingua glossolalica è l’affiorare di queste stratificazioni di marchi, detriti, depositi dell’esperienza dei detti e dei non-detti che si sono cristallizzati nel corso delle generazioni e sono piovuti addosso al soggetto. Lingua che contiene allo stato fossile, elementi che sono depositi di godimento opaco, resti di atti compiuti altrove.[29] Nessuno come Artaud ha cercato di far risuonare la lingua a partire da questi significanti non concatenati, instabili, asemantici, tracce di desideri lasciate da soggetti prima di noi, contingente formazione geologica, preliminare alla struttura e alla catena significante. Degli Uno che a volte prendono la forma di semplici esclamazioni, di parole o neologismi, che indicano i confini del simbolico, nella loro capacità di indicare il reale in gioco. Dà corpo a una lingua inseparabile dalla voce e dal gesto, ancorando l’atto enunciativo al corpo: così, per un istante, soggetto dell’enunciazione ed enunciato coincidono, godimento e parola si ritrovano sullo stesso lato.[30] La lettera a questo livello rivela la sua doppia faccia di significante e godimento, di scrittura e voce. Con i tentativi di far precipitare la parola nel corpo:
uno dei miei mezzi – scrive Artaud – è scandire frasi, cantilenandole […] un altro è fendere colpi nell’aria col soffio e con la mano, come si vibra un’ascia o un martello per far uscire gli animi sul mio corpo.[31]
Le glossolalie, la scrittura vocale, sono la strada maestra per torturare la lingua al fine di estorcergli il godimento, giungere al punto in cui la parola tocchi il reale. Torturare la lingua è un modo per far colare il significante nel corpo: «Moi j’ai fait tomber les hommes en corps».[32] Nella pratica artaudiana i processi di “rifare la lingua” e di “rifare il corpo” sono una cosa sola. Non è più lalingua subita, ricevuta passivamente, ma la lingua assunta, trattata, reinventata attivamente. L’invenzione diviene strumento, risposta del soggetto alla lingua traumatica che lo ha marchiato, assoggettato, costituito. Nella scrittura di Artaud ritroviamo i due statuti di lalingua: 1) come trauma che lo affetta e gli fa desiderare un corpo-senza-organi; 2) e come invenzione, trattamento della lingua traumatica e risposta che lo porterà a elaborare una scrittura del tutto singolare, fuori da ogni codice letterario.
Possiamo quindi distinguere lalingua traumatica e lalingua annodata, come costitutivi del soggetto, in quanto ogni umano deve far fronte al trauma del linguaggio e deve farsi parlessere, agganciando del senso al reale. Artaud mostra la doppia valenza di questo desiderio di raggiungere il reale: difesa dal reale che è la lingua che lo ha marchiato e connesione al reale che è il godimento di una lingua reinventata. L’etica artaudiana è la scelta di inoltrarsi in questo abisso, frequentare questo litorale, andare molto in là in questa terra di nessuno in cui non si può vincere: non si può accedere pienamente al reale se non al prezzo di una devastazione.[33] D’altra parte, non ci si può esclusivamente difendere dal reale, se non al prezzo di una apatia, di una ebetizzazione, l’alfa-ebetizzazione che ci rende debili, vili, assuefatti alla routine, si può invece assumere questa sfida impossibile: «impossibile che è al contempo limite e connessione».[34]
NOTE
[1] Cfr. Altri Scritti, p. 223.
[2] Lituraterra, cfr. Sem XVIII, pp. 103-118; e Altri scritti, pp. 9-19.
[3] J. Lacan, Scritti, pp. 805-6.
[4] Già per Freud l’investimento è un tema centrale per dar conto di tutti gli aspetti energetici, pulsionali, libidici, percettivi attraverso cui la realtà nel bambino prende consistenza. Inoltre, il sovrainvestimento delle parole rispetto alle cose, ritorna in primo piano nella schizofrenia (Freud S., Opere, vol. VIII, Bollati Boringhieri, Torino, 1989, p. 85). Ritorna, nel senso che già allo stadio di lituraterra, nello sciame che piove addosso al bambino, solo i significanti sovrainvestiti dall’Altro assumono peso. Lo schizofrenico è rimasto su questo terreno, come se il tempo si fosse fermato lì, mostrandoci come l’investimento libidico sui significanti sia primario, costitutivo, aurorale rispetto all’investimento sulle cose e sull’oggetto che si costituisce come tale solo in un secondo momento. Su questo terreno possiamo vedere la doppia faccia inscindibile di significante/godimento, sia dell’oggetto parziale, oggetto a (orale, anale, voce, sguardo), sia della lettera.
[5] J.-A. Miller, “L’invenzione psicotica”, La Psicoanalisi n. 36, p. 24.
[6] J.-A. Miller, Pezzi staccati, Astrolabio, Roma, 2006, p. 65.
[7] E. Laurent, “La lettera e il reale per la psicoanalisi”, La Psicoanalisi n. 26, p. 247.
[8] Il godimento non è programmato nella specie umana, i circuiti non sono in dotazione alla nascita, si scavano man mano a partire da incontri contingenti, dalle diverse incidenze di significanti, per ognuno diverse. Qui sta la funzione della lettera in quanto litura: spalmatura, cancellatura, detrito. La psicoanalisi, ricostruendo la singolare topografia erotica tracciata dalla litura-lettera, mira a isolare la differenza assoluta di ciascuno.
[9] J. Lacan, Scritti, p. 171.
[10] J.-A. Miller, “L’invenzione psicotica”, op. cit., p. 24.
[11] J. Lacan, Altri Scritti, p. 15.
[12] Nel Seminario XIX. …ou pire e XIX bis. Le savoir du psychanalyste, del 1971. Anche se verrà in piena luce l’anno dopo nel Sem XX. Ma, alla sua formulazione, Lacan arriva gradualmente: già ne vediamo le anticipazioni in L’istanza della lettera con la valorizzazione della lettera come ciò che presentifica il distacco del significante dal significato; nel Seminario XI con l’indicazione di un significante asemantico; nel Seminario XVII con il significante strumento di godimento; nel Seminario XVIII con la elaborazione delle nozioni di lettera e di scrittura.
[13] J. Lacan, Altri Scritti, p. 414 .
[14] L’intervento dell’analista (interpretazione e atto) deve produrre un taglio che separi l’enunciato dall’enunciazione, il detto dal dire, il significante dal significato, il voler dire dal voler godere. In tal modo il lavoro dell’analisi porta a una riduzione progressiva del senso per arrivare a isolare i significanti asemantici primordiali su cui si era saldato il plus-godere dell’oggetto a.
[15] J.-A. Miller, I paradigmi del godimento, Astrolabio, Roma, 2001, p. 136.
[16] Nel caso freudiano dell’Uomo dei lupi è costituito dalla «brusca apparizione dei lupi nella finestra del sogno» (Lacan, Sem XI, p. 255).
[17] J.-A. Miller, “Il monologo dell’apparola”, La Psicoanalisi n. 20, p. 20.
[18] J. Lacan, Altri Scritti, p. 138.
[19] A. Artaud, Al paese dei Tarahumara, Adelphi, Milano, 1966, pp. 101-2.
[20] OC, XXIV, p. 251. Il riferimento all’opera di Artaud, edizione a cura di É. Grossman, Gallimard, 2004 sarà Œuvres, mentre a quella a cura di P. Thévenin del 1956-1994 sarà OC e numero romano che ne indica il volume.
[21] OC, XX, p. 57.
[22] Œuvres, p. 1514.
[23] Artaud, Il teatro e il suo doppio, Einaudi, Torino, 2000, pp. 156, 163.
[24] Œuvres, p. 1015.
[25] Œuvres, pp. 1015-16.
[26] Il bambino gioca e gode del linguaggio molto prima di saperlo utilizzare per comunicare. E anche il o-o-o-o da-a che Freud interpreta come Fort-Da sono suoni di lalingua. Non voler dire ma voler godere.
[27] «Non si può catturare il godimento con il significante retorico» (Miller, La Psicoanalisi n. 52, p. 161). La parola sovrainvestita si sottrae alla dialettica comunicativa (linguistica e retorica) e si riduce a lettera (condensatore di godimento). Mettere in evidenza le nozioni di “primato della lettera” (Lacan) o “sovrainvestimento delle parole rispetto alle cose” (Freud), consente di collocare l’operazione a questo livello (di lituraterra e di lalingua). Livello dal quale articolare un uso nuovo dei significanti o l’invenzione di un nuovo significante.
[28] OC, XVIII, p. 226.
[29] L. Mambrini, La Psicoanalisi n. 26, p. 129.
[30] Cfr. Sem XI, p. 233. Nell’olofrase strutturale dello psicotico, non essendoci scarto tra S1-S2 solidificati, l’oggetto a non prende posto, non si distacca. Questo fa sì che lo psicotico è molto più esposto al godimento, al suo e a quello dell’Altro. La carenza della significazione fallica impedisce il prodursi della distanza, dell’intervallo, dello scarto tra S1-S2 indispensabile per il rinvio dall’uno all’altro. Lacan nel Seminario VI chiama “un monolite”: l’essere preso con il significante olofrastico.
[31] Rispettivamente, OC, XII, p. 83, e OC, XI, p. 119.
[32] Io ho fatto cadere gli uomini nel corpo, Œuvres, p. 59.
[33] Metteva in guardia su questa spinta, Lacan, quando ammoniva a non rilevare la passione di Artaud (Altri Scritti, p. 345).
[34] J.-A. Miller, “L’inconscio reale”, La Psicoanalisi n. 42, p. 130.