Macchine e nuvole

Una lettura di Lituraterra  di J. Lacan

 

Lituraterra. Uno scritto che parla dunque di letteratura? No, Lacan propone qui un apologo che parla sì di scrittura ma di una scrittura che non si fa su fogli di carta ma… sulla terra. Parla di scavi, di tracce che l’acqua piovana produce sul terreno, lasciando resti, liture.

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Una metafora geologica, allora? Nemmeno. La terra sta per corpo vivente, corpo-godente. Lituraterra parla, quindi, del significante che incide il corpo. Parla del trauma del linguaggio. Ma per questo l’apologo c’è già! Il soggetto, come un condannato bestialmente rassegnato, viene sdraiato su un morbido letto, la macchina si abbassa su di lui e con i suoi aghi scrive nella carne la sentenza ignota al soggetto, che non sa cosa gli viene inciso, non sa nemmeno di essere condannato. L’erpice, la macchina, lavora da sola e incide lettere sconosciute e sfrangiate, non possono essere semplici e comprensibili perché non debbono uccidere subito. Vengono incise sempre più profondamente nel corpo. Non è facile decifrare l’iscrizione leggendola. Il condannato la decifra grazie alle sue ferite.[1] Ma no, non è questo l’apologo che serve a Lacan. Bisogna suggerire non la morte ma la costituzione del soggetto come effetto del linguaggio che, sì, incide come l’erpice ma… non uccide. Fa trauma ma non annienta, anzi!

Allora serve l’apologo di una macchina che dia conto dell’iscrizione dell’apparato psichico. Una macchina di scrittura. C’è, è il notes magico descritto da Freud.[2] Un apparato con un due strati di fogli appoggiati su una tavoletta di cera. Il foglio da solo non basterebbe, poiché conserva indefinitamente le iscrizioni ma ha uno spazio finito che presto si satura. Una lavagna si presta a essere sempre pronta a nuove iscrizioni potendo cancellare le vecchie, ma appunto non le conserva. È necessario pensare a un apparecchio ausiliario (Hilfsapparate) che consenta una ricezione illimitata e una permanente conservazione delle impressioni. Questa tavoletta di cera rappresenta la memoria-inconscio su cui gli eventi si imprimono come tracce che dovranno essere rimosse dalla superficie per lasciare spazio a nuove percezioni ovvero a nuove iscrizioni-impressioni, a loro volta codificate in segni, in trascrizioni (Niederschriften). In tal se

nso la scrittura è impensabile senza la rimozione. Inoltre, ogni singola traccia dipenderà dall’entità e dalla frequenza con cui si ripete una data impressione. Quella del notes sarà adottata da Jacques Derrida come metafora fondante delle nozioni di scrittura e di traccia che saranno il leitmotiv di tutto il suo pensiero. Commentando il testo di Freud, ribadisce che il contenuto dello psichico va pensato come un testo grafico, di conseguenza “la struttura dell’apparato psichico verrà rappresentata da una macchina di scrittura”.[3] Per Derrida la vita stessa deve essere pensata come traccia.[4] Il soggetto sarebbe allora questa tabula impressiva?

No. Serve una apologo meno macchinico, che dia conto della processualità e non confonda traccia, lettera, significante. Facendo allusione al testo di Derrida, Lacan precisa: “se anche avessi trovato accettabili i modelli che Freud sviluppa in un certo Progetto perforando i tracciati delle impressioni, non ne avrei comunque tratto la metafora della scrittura. Essa non è l’impressione, con buona pace del notes magico” (Lituraterra, p. 13). Prima di tutto, la traccia e la lettera non sono primarie, sono semmai una conseguenza. Ma di cosa?

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Immaginiamo un paesaggio visto dall’alto di un aereo. I significanti sono nel cielo sotto forma di nuvole. Dalla rottura di queste nuvole precipita la pioggia, gocce come sciame (essaim), serie di S1 isolati che colpiscono e traumatizzano il terreno. Scavano, incidono solchi, formano rivoli che dall’alto appaiono come tratti, segni. Ma a ben vedere non tutte le gocce hanno lo stesso effetto, non tutte incidono. Le gocce non sono le stesse per tutti e solo alcune scavano, non necessariamente quelle più ripetitive o quelle di grande entità. Solo le parole, i gesti, i significanti investiti di un particolare godimento da parte dell’Altro scaveranno solchi, marchi. L’Altro fa piovere i suoi significanti sulla terra, sul corpo del bambino. Come ha sottolineato J.-A. Miller: “Il trauma dell’inconscio è che si è parlato intorno a voi, che questi significanti sono stati investiti e questo vi ha traumatizzato. È precisamente il trauma del significante, del significante enigma, del significante godimento”.[5] Il trauma dipende dal fatto che gli S1 che piovono addosso sono enigmatici poiché investiti dall’Altro ma senza che il soggetto ne conosca il senso, le regole, “da questo incontro nascono dei marchi sul corpo”,[6] dei marchi di godimento non preso in una dialettica. Rimarranno tracce di questo incontro traumatico nel sintomo e nell’evento di corpo. Questi significanti investiti dall’Altro incidono sul terreno-corpo dei marchi, che formano vacuoli, solchi in cui la pioggia alluvionale si raccoglie e scorrendo erode, lascia sedimenti, genera corsi d’acqua, disegna percorsi, tracciati che dall’alto appaiono come una scrittura. Sono queste lettere, questi percorsi che l’acqua-godimento disegna, a costituire litura-terra, cioè lo stile di godimento di ciascuno.[7] Questa iscrizione che l’acqua lascia sul corpo a mo’ di litura (spalmatura, cancellatura, detrito, sporcatura, macchia, tatuaggio), come per il condannato di Kafka, viene da un sapere “di cui il soggetto […] non sa né il senso né il testo né in che lingua è scritto, e nemmeno che è stato tatuato sulla sua pelle mentre dormiva”.[8] Ma mentre per il condannato di Kafka questa iscrizione significava la condanna a morte e l’esecuzione, qui l’iscrizione, seppur traumatica, rappresenta il momento necessario, costitutivo del soggetto, è il momento in cui il bambino può dire sì all’Altro; è l’istante dell’insondabile scelta dell’essere.[9] A partire da questa Bejahung primordiale si gioca lo stile d’entrata nell’Altro. A partire da qui si istituisce il soggetto come risposta al trauma, come modo di concatenare, di produrre S2 e di ricavarne un particolare modo di godere. “È precisamente il trauma del significante, del significante enigma, del significante godimento che obbliga a un’invenzione soggettiva”.[10] A partire da questi marchi potrà articolarsi una catena significante, una invenzione del senso, un circuito del godimento. Il soggetto non è determinato in maniera assoluta dall’Altro, secondo una logica puramente impressiva. Lacan contesta a Derrida sia la tesi di un’architraccia che sarebbe primaria rispetto al significante, sia la tesi di scrittura come testo invece che come puro gesto calligrafico, tratto unico, singolare; con l’architraccia e la scrittura-testo condanneremmo il soggetto a una posizione passiva. Mentre già a partire dai marchi, il soggetto è attivo, articola una “risposta”, può dire sì o no al significante. Da un primo momento in cui il trauma è essere presi nell’erranza dello sciame, della serie che ci piove addosso e ci assoggetta, si passa a un secondo momento in cui i marchi che la pioggia percuotente ha lasciato sul nostro corpo-terra, diventano vere e proprie lettere in cui il godimento si raccoglie in una forma singolare, tratto unico con cui si scrive la propria lingua. Questo è il momento costitutivo del soggetto come risposta, difesa dall’irruzione del reale alluvionale, è il momento dell’invenzione soggettiva. A questo punto la lettera stessa cambia statuto, non più semplice marchio, traccia ma litorale, punto di articolazione tra sapere e godimento, tra simbolico e reale.

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In questo suo essere un residuo del sembiante che dal cielo, dalle nubi è precipitato come pioggia, da questa rottura della forma, il litorale è lettera di godimento. “Il godimento provocato quando si rompe un sembiante, ecco che cosa si presenta nel reale come erosione dilavante. È per lo stesso effetto che la scrittura è nel reale l’erosione dilavante del significato, ossia ciò che è piovuto dal sembiante in quanto costituisce il significante. La scrittura non ricalca il significante, bensì i suoi effetti di lingua, ciò che viene forgiato da parte di chi parla” (Lituraterra, p. 15). Ecco tutta la distanza dalla scrittura come testo e dall’architraccia. Per Lacan il processo della scrittura inizia tra le nuvole, sembiante per eccellenza, si concretizza nell’erosione dilavante del terreno che darà singolari effetti di lingua-godimento nel parlessere. La lettera è presa nella rete del sembiante essa stessa, ma da lì assume il valore di referente per qualsiasi altra cosa e questo cambia lo statuto del soggetto, da traumatizzato e preda del godimento alluvionale a soggetto attivo che usa la lingua per godere. A partire da questo uso della lettera-litorale il soggetto non rimane impantanato a livello del tratto, del marchio, ma può implicarsi nell’Altro, passare dall’Uno senza Altro, all’S1 nell’Altro.Assumendo quei “depositi che si accumulano per i malintesi e le invenzioni linguistiche di ciascuno”,[11] si passa da lalingua traumatica al saperci fare con lalingua. Dalla lingua traumatica costituente il soggetto, al saperci fare con la lingua del soggetto costituito. Lacan, nel Sem XX, sottolineerà come “indubbiamente il linguaggio è costituito da lalingua. È un’elucubrazione di sapere su lalingua. Ma l’inconscio è un sapere, un saper-fare con lalingua” (p. 133).

Dalle nuvole, all’erosione della terra, si passa al cielo stellato dell’ordine simbolico, al sapere e al saper fare. È il punto a cui giunge Lituraterra: “Il fatto che [il soggetto] si appoggi su un cielo stellato e non solamente sul tratto unario per la sua identificazione fondamentale spiega che non possa prendere appoggio che sul Tu”  (pp. 17-18). Sul mondo delle convenzioni, sul puro sembiante, sulle leggi della cortesia, sulle forme rituali e grammaticali… Il riferimento al tratto unico di pennello nella calligrafia cinese e giapponese non deve farci dimenticare l’importanza all’altro riferimento essenziale in quella tradizione culturale: il cielo stellato. In tal modo possiamo fare dell’apologo delle nuvole e della litura-a-terra un contrassegno per situare la costituzione del soggetto e la messa in prospettiva del lavoro analitico.

Michele Cavallo,  testo pubblicato in  La Psicoanalisi n. 55, 2014.

NOTE                                                     

[1] F. Kafka, “Nella colonia penale”, in Racconti, Feltrinelli, Milano, 1980, pp. 168-195.

[2] S. Freud, “Nota sul notes magico” (1925), Opere, vol X, Bollati Boringhieri, Torino, 1989. Vedi anche Progetto di una psicologia, op. cit. vol II.

[3] J. Derrida, La scrittura e la differenza, Enaudi, Torino, 1971, p. 258

[4] Ivi, p. 263.

[5] “L’invenzione psicotica”, La Psicoanalisi n. 36, p. 24.

[6] J.-A. Miller, Pezzi staccati, Astrolabio, Roma, 2006, p. 65.

[7] Questa traccia o tratto appare come “ruscellamento delle acque” che lascia in ombra ciò che non scintilla (Sem XVIII, p. 111). Qui sta la funzione della lettera in quanto litura: spalmatura, cancellatura, detrito. L’acqua che alloggia e si spalma in quei tracciati, riflette e li fa apparire, cancellando e lasciando in ombra il terreno che non scintilla, che non accoglie l’acqua e non fa apparire alcun disegno.

[8] J. Lacan, Scritti, pp. 805-6.

[9] J. Lacan, Scritti, p. 171.

[10] J.-A. Miller, “L’invenzione psicotica”, op. cit., p. 24.

[11] J.-A. Miller, “Il monologo dell’apparola”, La Psicoanalisi n. 20, p. 20.

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