Perché ripetiamo ciò che ci fa male

BellmerPer Freud la ripetizione non è semplicemente il ritorno ritmico delle stagioni e dei cicli della vita. Non è la rassicurante routine, la piacevole abitudine in cui ci si adagia. Il battito della ripetizione è dato dalla coazione, dalla costrizione, dall’automatismo. In Al di là del principio di piacere Freud sottolinea come nelle esperienze fondamentali della vita incontriamo questa insistenza. Ad esempio, nell’amore e nei rapporti significativi le persone ripetono, riattualizzano e fanno rivivere situazioni dolorose e stati affettivi che hanno caratterizzato i loro primi anni di vita. L’esperienza di ciò che in passato ha procurato dispiacere anziché soddisfacimento, non è servita a nulla. Tale attività viene nonostante tutto ripetuta: una coazione costringe a farlo. Da qui l’impressione di essere perseguitati dal destino o vittime di qualche potere “demoniaco”; ma la psicoanalisi ha sempre pensato che questo destino sia creato in massima parte con le proprie stesse mani, determinato da condizionamenti che risalgono all’età infantile. Ecco perché in psicoanalisi “destino” si dice “ripetizione”. Qualcosa che si ri-presenta, seppur in momenti, in luoghi e in circostanze diverse. Un meccanismo che insiste, un invisibile suggeritore che continua a dettare le stesse parti seppur ad attori nuovi. Un intreccio che si svolge con le stesse svolte e lo stesso finale. Relazioni che si concludono tutte allo stesso modo. Questo “eterno ritorno dell’uguale” non ci stupisce molto se si tratta di un comportamento attivo del soggetto,  se in quel comportamento riconosciamo una peculiarità permanente  del suo carattere che non può non ripetersi. Un’impressione più forte ci fanno quei casi in cui pare che la persona subisca passivamente un’esperienza sulla quale non riesce a influire, incorrendo immancabilmente nella ripetizione dello stesso destino. In tal senso nella vita psichica esiste davvero una coazione a ripetere che si afferma anche a prescindere dal principio di piacere. Nella coazione a ripetere c’è qualcosa di più originario, più elementare, più pulsionale del mero principio di piacere. Non si tende a ripetere solo e semplicemente ciò che provoca piacere o ciò che farebbe il proprio bene. La “coazione del destino” è da cercare in quel qualcosa di più elementare e pulsionale (Opere, IX, pp. 207-9).

La ripetizione ha a che fare con ciò che perdura e insiste contro ogni ragione e ogni volontà, è il cuore di ogni sintomo, di ogni sofferenza. È una cupa soddisfazione che spinge a varcare ogni limite. È la pulsione che spinge oltre… fino alla propria distruzione. Per questo la pulsione è detta acefala, senza ragione, senza limite, senza fine se non una sorda, autistica soddisfazione. Per questo Freud è stato indotto a parlare di un “istinto di morte”. La pulsione lasciata a se stessa è contro la vita, conduce all’autodistruzione. Il corpo, la sua spinta pulsionale, può portare il soggetto in un al di là del piacere in cui ci si ritrova a giocare una partita con la dipendenza assoluta, con la coazione a ripetere, con l’autodistruzione, con la morte. Dentro il corpo c’è qualcosa che spinge, che insiste, che soffre, che gode, che si ammala… indipendentemente dalla nostra volontà, dal nostro controllo. Il nostro corpo ci è fondamentalmente estraneo. In tal senso Lacan si chiede: Qual è la cosa che ci fa più paura? Il nostro corpo, risponde.